Regia di Ken Loach vedi scheda film
Un padre di famiglia si è stancato di vivere in affitto. Perciò acquista un furgone e si mette a lavorare 14 ore al giorno per una ditta di corrieri; calcola che in un paio di anni, stringendo la cinghia, arriverà a guadagnare abbastanza da comprare casa. Ma nel giro di poche settimane la situazione in famiglia collassa: la moglie, badante, è travolta dal suo lavoro mal tutelato, e il figlio più grande, adolescente, marina la scuola e viene arrestato per un furtarello.
Per le classi meno abbienti non c’è speranza di riscatto in questo truce, bieco mondo capitalista: la morale è la solita per Ken Loach – e per il suo fidato sceneggiatore Paul Laverty – ma va quantomeno riconosciuta in questa occasione la capacità di costruire una storia attendibile dal principio alla fine, con personaggi veri e situazioni plausibili, al contrario insomma di quanto fatto nel precedente I, Daniel Blake (2016). L’intrattenimento con contenuti è servito: la forma è riuscita e il messaggio chiaro, Loach meglio di questo non chiede e nemmeno vuole fare; bene così, allora, per Sorry we missed you, anti-fiaba moderna che si propone in aggiunta l’intento di aprire gli occhi del pubblico sulla complessità di uno dei mestieri più in crescita (come quantità, ma non certo come qualità di lavoro) di questi anni, ovverosia il corriere. Interessante l’antitesi con quello narrato da Clint Eastwood in The mule (2018): là era un corriere d’elite, danaroso e per clienti danarosi, ben equipaggiato e a suo modo snob – di destra – e qui è un corriere, semplicemente, di sinistra, tutto uno stringere di cinghie e rivendicazioni sindacali. Appezzabili anche i protagonisti, con in primis naturalmente Kris Hitchen e Debbie Honeywood; ma ciò che più rincuora in assoluto è la voglia dell’83enne Ken Loach (classe 1936) di continuare a mettere in scena film capaci di associare ammirevolmente una valida confezione e degli argomenti di stretta urgenza sociale. 6,5/10.
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