Regia di Ken Loach vedi scheda film
Ken Loach torna, con ostinata coerenza, all'attivismo cinematografico con il suo ultimo film presentato a Cannes 72, Sorry We Missed You, in cui più che di un protagonista potremmo parlare di quattro protagonisti, i componenti di una famiglia di lavoratori, padre impiegato nelle spedizioni di pacchi a domicilio, madre badante, e figli studenti. Il figlio maschio, sempre più coinvolto in atti vandalici se non addirittura in piccoli furtarelli, mette in difficoltà i genitori quando la scuola minaccia di sospenderlo a causa delle continue assenze; e intanto le vessazioni e le risposte ciniche del datore di lavoro del padre mettono il fragile equilibrio della famiglia sempre più a rischio. Finché l'esplosione dei drammi non diventa inevitabile.
Loach disegna con perizia e delicatezza una prima metà di film in cui delineare ritmi e abitudini di vita è un'occasione per riproporre (ancora una volta) un cinema "semplice", diretto, che oggi è sempre più raro incontrare. Un cinema fatto di dialoghi banali, di pulizia di montaggio e di candore del movimento di camera, privo di orpelli anche narrativi ma non per questo prettamente realistico, dotato di ambizioni quasi trascendenti.
Eppure, per qualche misterioso motivo, la seconda metà del film deraglia allo scopo di raccontare la crisi della Famiglia, qui da considerare in un blocco unico analoga al Personaggio Daniel Blake nell'omonimo film che vinse Cannes 2016 e che rappresenta, nell'ottica di Loach, un manifesto più o meno fallimentare di lotta contro le ingiustizie sociali: una famiglia che covi al suo interno affetti, riconoscenze e gratitudini, e che invece rischia di diventare panacea di dissapori, litigi e sconfitte. Se Loach avesse operato tramite un immersione nel pdv dei suoi protagonisti, le crescenti sfortune che cominciano a piovere su di loro sarebbero potute apparire anche plausibili e accettabili. Ma data la distanza - mai cinica, per fortuna - che il regista impone rispetto ai personaggi tramite una cinepresa raramente adagiata su un primo piano, le situazioni che si vengono a presentare negli ultimi 40 minuti di film diventano davvero quello che definiremmo uno "scivolone di sceneggiatura", esagerazioni enfatizzate da un'improvvisa colonna sonora - da cui eravamo stati lietamente risparmiati nella prima ora di film - che comincia lentamente a scavare nella credibilità e nella capacità empatica dello spettatore, che alla fine si sente ricattato e non più accolto negli eventi infelici che vede verificarsi.
Un film mancato, monco, un'occasione perduta.
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