Regia di Carlo Mirabella-Davis vedi scheda film
Hunter conduce una vita apparentemente incantevole in una bella villa insieme al giovane marito, il quale ha un ruolo importante nell’azienda di famiglia. Oltretutto, è incinta del suo primo figlio. Da un giorno all’altro però la donna inizia a ingoiare oggetti, senza una ragione precisa: una pila, una puntina di metallo e così via. Questa assurda compulsione la porterà più volte in ospedale e metterà in crisi il suo matrimonio.
La perfezione del presente, quando troppo marcata e scintillante, nasconde spesso qualcosa di losco: magari le vestigia di un passato che è impossibile dimenticare o storture di qualche tipo. La solitudine in cui vive la protagonista è amplificata dallo splendore immacolato che la circonda da ogni lato, splendore fittizio e ridondante, in cui è facile annegare. Il marito dice di amarla ma non la ascolta, e dietro le parole la considera in realtà meno di nulla. Ma anche Hunter gli nasconde qualcosa: le piaghe di un percorso che l’ha vista nascere da uno stupro e vivere sempre in un limbo di solitudine, lo stesso che la circonda oggi. Ingoiare oggetti è un gesto catartico e simbolico: cercare la sofferenza o finanche la morte, certo, ma anche provare la soddisfazione di vedere qualcosa che passa dal guado per tornare alla perfezione originaria. Il film di Carlo Mirabella-Davis si districa in una rappresentazione originale di un dramma interiore non urlato, ma perciò più potente, con uno stile - soprattutto nella prima parte - vagamente surreale che può ricordare quello di un regista raffinato come Yorgos Lanthimos.
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