Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Anche nelle collezioni dei Maestri vi sono opere meno riuscite. "Donne in attesa", nell'eccezionale galleria bergmaniana, è una di quelle opere. Basti paragonarla a "Monica e il desiderio", che Bergman realizzò in quello stesso 1952. Certo, vanno apprezzati il coraggio e la schiettezza con cui il regista affronta tematiche difficili come quella dei rapporti di coppia, con elementi che, nella nostra Italietta cinematografica, infiltrata dalla penetrante censura democristiana, erano tabù, come quello della frigidità (sia femminile che maschile) e del tradimento, vissuto come una componente fisiologica della vita matrimoniale. Allo stesso modo, Bergman riesce a sbozzolare tre o quattro bei ritratti di donne, le cui figure risaltano con maggior nitidezza in quanto avvicinate agli opachi personaggi maschili che stanno al loro fianco: quattro fratelli tutti, chi più chi meno, persi dietro alle loro ambizioni personali e ai loro sogni ridicolmente narcisisti (come testimonia l'accenno al sapone nell'orecchio di Fredrik). Per di più, la costruzione cinematografica bergmaniana è una geometria perfetta, nel concatenare tre episodi similari, seppure dai toni diversi (quasi drammatico il primo, semplicemente patetico il secondo e grottesco il terzo), più uno piccolo all'inizio (quello di Annette/Paul) e una sorta di linea che li interseca orizzontalmente tutti, con la vicenda della giovane Maj e del suo fidanzato Henrik. E tuttavia, "Donne in attesa" lascia nello spettatore, a differenza di altre opere - forse più mature - dell'autore, un senso d'incompletezza, probabilmente per quel finale volutamente ambiguo, con la barchetta dei due giovani che, con grande difficoltà, parte, anche se il vecchio Paul preconizza il ritorno della coppietta appena finirà l'estate e cominceranno l'inverno e le incomprensioni. Ed il finale è, a parer mio, e nonostante l'opinione contraria di illustri critici (primo tra tutti il Trasatti, autore del "Castoro" su Bergman), da interpretare in senso pessimista, proprio alla luce del film successivo del regista svedese, cioè il bellissimo "Monica e il desiderio".
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