Regia di Jonas Alexander Arnby vedi scheda film
Max, un detective assicurativo, segue il caso di una donna il cui marito è scomparso. La compagnia assicuratrice rifiuta il pagamento del dovuto finchè non ottiene una prova della morte, la quale, dopo un po', giunge: la vedova mostra un video nel quale si vede il marito dichiarare di essere in procinto di praticare suicidio assistito, all'interno di una misteriosa struttura chiamata "Aurora"; alla stessa, poichè non trova il coraggio di farla finita in altro modo, ricorre lo stesso Max, dopo aver appreso che il tumore al cervello che lo affligge è fuori controllo. Giunto nella struttura, una sorta di albergo sito in una remota regione nordica, scopre che non gli è concesso tornare sui propri passi. Quest'opera, tra dramma e thriller, con venature fantascientifiche, ha una notevole complessità, tanto per la scelta del regista di raccontare gli eventi alterando la sequenza cronologica, quanto per gli argomenti trattati. Nella prima parte prevale l'aspetto drammatico. La sceneggiatura introduce il tema del libero arbitrio circa il fine-vita ed apre una finestra sull'animo del protagonista, del quale sono descritti sentimenti, sensazioni, paure. A Max è diagnosticato un imminente degrado cognitivo legato all'espandersi della malattia; su questa base, sceglie di porre fine alla sua vita evitando sofferenze a sè, e, soprattutto, alla moglie. E' una decisione sofferta e travagliata. La seconda parte del film accantona parzialmente questi argomenti ed è dedicata all'inquietante albergo del "fine vita". Chi sceglie di morire, in qualche modo, è destinato dopo il trapasso, a diventare un vegetale. Non è chiaro se come semplice concime o come entità senziente, almeno dal punto di vista dei "gestori". L'epilogo mi è sembrato aperto; ciò che accade nelle ultime, concitate, sequenze, è reale, oppure è generato dalla mente, sempre più disturbata, del protagonista ? Probabilmente, dovrei rivedere il film per aver chiarezza. Nonostante la breve durata, inferiore ad un'ora e mezzo, il ritmo del film è molto lento, e gli interessanti argomenti trattati nella prima metà del film vengono un po' messi da parte, da un'evoluzione convenzionale e prevedibile - volendo far prevalere la prima delle due interpretazioni proposte sopra - della trama. Le atmosfere del film sono molto cupe, e la tensione pian piano sale; alla drammaticità degli argomenti trattati, si aggiunge l'uso di colori smorti, anche e soprattutto durante sequenze oniriche in grado di generare qualche brivido. Discreta interpretazione per Nikolaj Coster-Waldau, un protagonista sempre sull'orlo della follìa, nonostante l'approccio razionale alla sua tragica situazione. Sono rimasto leggermente deluso dalla visione, probabilmente una durata maggiore - o un ritmo più spedito - avrebbe consentito al regista di concentrarsi maggiormente sulle interessanti tematiche di bioetica poste a base del racconto.
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