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I rec u

Regia di Federico Sfascia vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su I rec u

di darkglobe
8 stelle

Le agonie sono terribili, sia per morire, che per amare

I Rec U fa parte di certo cinema indie nostrano che, nonostante indiscutibili meriti legati in primo luogo ad una originalità che riesce a farsi spazio a dispetto dell’evidente carenza di mezzi tecnici e disponibilità economiche, fatica a trovar il giusto riconoscimento essendo abbastanza estraneo agli ambiti propri di certi circoli chiusi che amano supportare, perfino con finanziamenti pubblici, sempre le stesse produzioni sulla base di criteri spesso fortemente alieni dalla qualità delle opere prescelte.
Parliamo di un film con una gestazione durata circa 3 anni, scritto, diretto e montato da Federico Sfascia e prodotto dalla sua Rubaffetto Entertainment grazie anche all’encomiabile supporto del collettivo I Licaoni.
Il film ha colpito non poco il pubblico alla 34ma edizione del Future Film Festival all’interno della rassegna Apocalissi a basso costo, ma il future in questo caso si addice più alla prospettiva del cinema nostrano, di cui I Rec U traccia una delle possibili evoluzioni, che alla fantascienza di genere da esso rappresentata.
Di sicuro si tratta di un’opera visionaria fortemente influenzata dal mondo stesso del cinema (a partire dall’omaggio a Stallone – un “self made man” secondo Sfascia – che viene addirittura esplicitato sulla maglietta ed i poster del protagonista) ma sarebbe probabilmente un errore non cogliere gli elementi di assoluta originalità sia della trama che del linguaggio filmico, che fa di sicuro dell’incastro del montaggio uno dei suoi elementi di forza e di accelerazione del ritmo narrativo.


“I Rec U” come parafrasi di “I love You”, chiaro riferimento alla forma succinta dei fraseggi da epoca social, in cui la registrazione (sembra quasi un “ti registro, dunque sei”), quella dell’apparire e del vedere in virtuale, fa le veci del mondo reale, dell’amore fisico, dell’esserci.
Su questo cardine si sviluppa la singolare trama che vede come protagonista Neve (Lorenzo Porzi, egli stesso vagamente somigliante a Stallone), diciottenne affetto da una rara malattia che gli provoca, fin da bambino, le convulsioni se osserva volti femminili, che gli appaiono sfocati, indelineati; malattia emersa in presenza della madre, ormai morta, durante la visione della VHS di Faust Forward, un film in cui una ragazza viene rapita da Satana e ricnhiusa in una videocassetta, per poi essere salvata da due eroi che a loro volta si registrano in videocassetta e la vanno a riprendere.
“Se una cosa puoi sognarla puoi anche farla” è una frase del film ed il pensiero fisso su cui Neve ha costruito il suo sogno di un “amore da poter vedere ad occhi nudi”, dato che per ovviare alla sua rara malattia uno scienziato, il dottor Therieux (cameo del regista Terry Gilliam, uno per tutti Brazil), gli ha costruito degli occhiali speciali, con tanto di camera monoculare, in grado di consentirgli di osservare il mondo femminile e riversarlo su VHS, in un poderoso registratore che il ragazzo si porta inseparabilmente dietro (allusione tanto esplicita quanto ironica agli smartphone).


Neve, nella sua menomata condizione, finisce per innamorarsi, non ricambiato, di ragazze di scuola sempre diverse, al punto che per la delusione due volte al mese tenta a vuoto il suicidio, provando ad impiccarsi da un albero con sopra inciso un cuore. Purtroppo, dopo l’incontro non ricambiato con l’ennesima studentessa, Neve si toglie gli occhiali dalla rabbia e sviene. Viene riportato a casa dalla supplente e psicologa Faustine (Federica Bertolani), che al suo risveglio gli confida di essere la stessa studiosa che è stata intervistata in TV in una irriverente trasmissione denominata Inquisizione scientifica e che ha sviluppato una teoria, ispirata al succitato Faust Forward; secondo tale teoria le videocassette, assorbendo ricordi ed emozioni, invecchierebbero come le persone, smagnetizzandosi con l’uso e addirittura permetterebbero di viaggiare nel tempo, se si entrasse nei nastri. Per tale motivo, in attesa del ritorno a casa del fratello di Neve, l’unico ormai ad occuparsi del ragazzo, Faustine chiede in prestito un po’ delle innumerevoli VHS che Neve registra quotidianamente, affinché possa confermare per via pratica i propri lavori teorici. Sorte vuole che il fratello di Neve, Max “La Spada” (Massimiliano Torti), rozzo donnaiolo che nel rivolgersi all’altro sesso parla di “fodero”, persona convinta che l’amore "porti via tempo, sentimenti e soldi", sia l’ex ragazzo della psicologa, lasciatosi con lei dopo che il cantante solista della band I corvi di panna, in cui suonava come chitarrista, gli aveva fatto credere di essersela portata a letto.

Neve per l’ennesima volta, mentre i due discutono, va a suicidarsi presso il suo albero preferito ma incontra a sorpresa una bella ragazza dai capelli bianchi di nome Penelope (Dolphine Lundgren, sembra quasi una reminiscenza collodiana) che da un lato lo irride e dall’altro gli spiega che la vita “non è poi così lunga” e soprattutto che non la si può capire come fosse un lungometraggio, perché “dopo i titoli di coda di un film c’è la vita, la vita vera; non ci sono grandi storie, musica e lieto fine, solo giorni e altri giorni ancora”. Se dunque una cosa la puoi sognare “è perché stai dormendo mentre dovere di Neve sarebbe ormai quello di svegliarsi: “Vivere senza amore” è dunque una scelta molto più ragionevole e meno definitiva del “morire per amore”.


Penelope toglie a quel punto di scatto gli occhiali al ragazzo e lo aiuta a vedere attraverso i rami dell’albero la fiaba di uno scoiattolo ed una danzatrice del ventre a cui il primo ha il “coraggio” di dichiararsi, smettendo di fantasticare e di soffrire le pene d’amore perché “le agonie sono terribili, sia per morire, che per amare”. Ed è a quel punto che Neve si accorge di poter vedere Penelope ad occhi nudi e se ne innamora perdutamente, mentre lei gli scaglia sull’albero un coltello con manico a forma di cuore e va via.


La successiva morte prematura di Penelope, per una malattia incurabile da cui era affetta, fuori da un locale in cui Neve ha tentato di rivederla, condurrà il ragazzo a mettere in pratica le strampalate teorie di Faustine, provando a riportare in vita la sua amata. A seguito di un rito con tanto di videocassetta contenente una registrazione dell'amata, Neve, Max e Faustine vengono scaraventati in un mondo visionario - di sicuro è questa la parte più suggestiva e sognante dell’intero film - alla presenza di mostri che ricordano tanto certi vecchi horror giapponesi d’epoca, le cui propaggini sono fatte di pellicole e nastri magnetici. Il mostro principale, che trattiene Penelope, è coadiuvato da una serie di orribili aiutanti che recano a loro volta simboli fluorescenti dei tasti di un videoregistratore. I giovani paiono realmente immersi in un’atmosfera tetra e oscura, proprio come nel video di una cassetta malandata, tant’è che sullo schermo si notano disturbi e dissolvenze improvvise di allineamento video, in un clima di crescente tensione e delirio onirico nel quale si comprende come il tentativo dei mostri sia quello di utilizzare il passato dei protagonisti, fatto di paure e rimorsi, per intrappolarli e poi cancellarli.

E ancora quello che tiene in ostaggio Penelope, nella sua furia distruttiva in cui sembra succhiare l’anima dalla ragazza, afferma che Neve e Penelope sarebbero “due parti dello stesso amore, per cui la ricomposizione delle medesime parti starebbe prosciugando a morte la ragazza: gli esseri umani sarebbero dunque solo uno “scarto accidentale” di questo processo di riunificazione. È solo a questo punto che Neve, disperato, comprende come il suo amore e tutta la sua vita siano stati prima di tutto una forma di egoismo, nella speranza di poter essere felice, portando quindi, con la sua presa di coscienza, il mostro, rappresentazione del sé, alla  dissoluzione; dal canto suo Penelope gli confida che il coltello lanciatogli la notte del primo incontro era una forma di ringraziamento per averla aiutata a scacciar via con la sua goffaggine le proprie paure di morte. Nel frattempo Max e Faustine, dichiarandosi finalmente amore reciproco, portano anche loro alla cancellazione dei propri mostri. Si arriva ai titoli di coda di un ipotetico film, che è poi la fine della cassetta, in cui ciò che si poteva presumere essere un finale di salvezza pare semplicemente la fine del sogno di Neve, con uno scarto sul reale ancora tutto da riscrivere, pur guidato dall’ultimo invito di Penelope al “Non smettere mai di cercarmi”.


Di sicuro I Rec U esprime, con il suo metalinguaggio narrativo, innumerevoli suggestioni, di cui il nastro di una videocassetta ne rappresenta il filo conduttore. Il logorarsi del nastro simboleggia il fluire inesorabile del tempo, un po’ come la ricerca musicale di un Basinski che fa del suoi Disintegration Loops il fulcro del nostro dissolvimento esistenziale. Le capacità del nastro di tener traccia dei rimorsi e delle sofferenze di Neve e della sua amata rimandano inevitabilmente ai nastri di The Ring, pur con esiti e risvolti assolutamente differenti, nonostante la morte sia l’elemento angosciante comune ad entrambi i film.


Qui la morte assume però il significato di riscatto, il metro di giudizio dell’amore o la cifra con cui giudicare i comportamenti di giovani incapaci di liberarsi dalla sospensione dei propri sogni e della propria esistenza. La dicotomia tra contenuto registrato su nastro e mondo reale è dunque, come scrivevamo, la necessità di allontanamento da una virtualizzazione fatta di spaesamento delle coscienze, in cui viene meno il senso del reale e della vita, dal quale nasce il tentativo di bloccare in un’immagine le proprie necessità di relazione ed amore.

Tutte le riprese della prima metà del film, quella che precede il viaggio onirico, sembrano caratterizzate da un gusto della messa in scena dal taglio quasi fumettistico: in questo contesto dominano la rappresentazione di un frequente cinismo giovanile ed una certa goliardia quasi demenziale, la quale ultima accompagnerà costantemente il film anche nelle scene più cupe.
Fa dunque specie constatare come la parte più fantasiosa e delirante del film, popolata dai mostri che sono nei fatti l’incarnazione negativa delle coscienze dei protagonisti, sia anche quella più filosofica; in essa, attraverso un percorso di autocoscienza, si riflette sul senso della propria esistenza, si ripercorrono i propri errori del passato e si tenta di comprendere il valore dei propri desideri e delle proprie aspirazioni future.


Se da un lato, in questo scenario, gli effetti visuali, coadiuvati dagli eccessi cromatici e dai disturbi visivi, colpiscono ed in un certo senso divertono, col ricorso a pupazzi siliconati, macchine del fumo, montagne di videocassette sparse ovunque e nell’assenza totale di ricostruzioni virtuali di cui il film stesso ne è condanna, dall'altro l’ascolto in sottofondo, senza alcuna soluzione di continuità, del rumore di nastri e pellicole che girano sul vuoto di fine corsa è semplicemente geniale ed accresce alla perfezione il senso di angoscia e di incertezza che vivono i personaggi all’interno della cassetta; la colonna sonora, ripetutamente interrotta e ripresa nei continui gap narrativi, contribuisce poi a dare il giusto senso di discontinuità, smarrimento e precarietà.


C’è tanto in questo film: dai teen movie alla commedia romantica un po’ slap; dai fantasy alle suggestioni manga; dai monster movie nipponici ad un certo cinema horror post-atomico condito da prospettive da cybercultura letteraria della visione del mondo (il gioco dei multilivelli inscatolati di conoscenza); tutto in un continuo alternarsi di registri ritmici, semantici e visuali, per cui una classificazione di genere appare per certi versi quasi impossibile. Si percepisce di certo una smisurata voglia di esprimersi del regista, di dilatarsi oltre i confini del mezzo, esso stesso paradossalmente oggetto di autoflagellazione quando se ne dichiarano i limiti temporali.
Notevole la colonna sonora di Alberto Masoni, che alterna atmosfere romantiche (È uno sguardo, Rebirth) a sonorità rock concitate (Master of Rock, World in VHS), con Neve Reality che spadroneggia su tutti.
Se una critica va fatta è al doppiaggio, forse la parte più claudicante su cui sembra a volte incepparsi un meccanismo cinematografico che rasenterebbe altrimenti la perfezione. Bravissime le protagoniste femminili, adorabile in particolare Dolphine Lundgren e la sua Penelope.


Il film è attualmente distribuito sul canale Youtube de I Licaoni ma se ne attende una possibile versione per l'Home Video.

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