Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film
Scarsina questa incursione di Soderbergh nel mondo di Kafka (autore per il quale vado pazzo). Il film infatti è stato costruito pescando qua e là nelle opere dello scrittore praghese, ma vi sono stati aggiunti elementi che ci stanno sopra come una toppa di sacco su un vestito di velluto. Riusciti e nell'atmosfera di Kafka sono: l'ambientazione all'ufficio e negli altri luoghi della burocrazia (l'archivio); i personaggi dei due assistenti (ma non nella loro ultima apparizione) presi da “Il castello”; certe figure femminili; il capoufficio e il caporeparto; la bella fotografia in bianco e nero, che era praticamente inevitabile per costruire l'atmosfera. Detto questo, ed elogiata l'interpretazione di Jeremy Irons, devo aggiungere le dolenti note: il complotto che viene scoperto non è affatto kafkiano, ma solo posticcio e scimiottato; l'episodio a colori è pasticciato e completamente fuori tono; l'ispettore di polizia è anche lui fuori dallo spirito dello scrittore; altri personaggi sono confusi e sfocati, come quello che lo fa entrare nel sottosuolo. Insomma, questo film è un tentativo, diciamo anche fatto con impegno, di riprodurre le atmosfere di quel singolare ebreo di Praga. Si è voluto però costruirci sopra ancora qualcosa, operazione che non è assolutamente riuscita. Ci si doveva e poteva “limitare” a raccontare una delle sue opere, come ha fatto con successo qualcun altro. E' un film che soffre di una certa ambizione (non supportata dalle capacità) e da un mal riposto desiderio di libertà da parte del regista, dove invece era doveroso il solo raccontare ciò che Kafka scrisse. Quanto ai trascorsi, ci si cimentò con successo Orson Welles con “Il processo” e, con molto successo, l'accoppiata Straub-Huillet con “Amerika”. In ogni caso, Kafka è roba per grandi cineasti. Gli altri lascino perdere.
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