Regia di Hirokazu Koreeda vedi scheda film
La famiglia disfunzionale è sempre stata al centro del cinema di Hirokazu. Eppure stavolta qualcosa non funziona: il meccanismo s’incarta, tenta di farsi metatestuale ma si avvita su sé stesso, urla e sbandiera quando dovrebbe solo raccontare e suggerire. Un plot appartenente a uno schema narrativo abusatissimo, consumato, rimasticato da più di un decennio di cinema d’auteur. E la mano di Hirokazu sparisce, si ritira, si nasconde. Funzionano certo le performance attoriali, sulle quali il film è interamente costruito. Ma è anche e paradossalmente uno dei tanti difetti dell’ultima fatica di Hirokazu: l’utilizzo di appeal, talento, presenza scenica e magnetismo del lussuoso cast internazionale come trampolino di lancio per il proprio salto continentale. Il film diventa questo: un atto esibizionistico, lo spettacolo circense di un acting cucito addosso alla personalità e all’indole degli attori in scena.
In definitiva, “La vérité” è probabilmente il peggior film di un altrove grande regista. Non è facile per un cineasta radicato in una cultura e un modo di fare cinema propri compiere il salto in direzione di un mercato e un contesto cinematografici così diametralmente opposti. Significa spesso scendere al compromesso tra la conservazione della propria visione e poetica e la necessità di assecondare le esigenze di una cultura e ideologia altre. Hirokazu, semplicemente, ha costruito “La vérité” in rapporto a questa urgente ambizione, dimenticandosi del cuore, della passione e del cinema.
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