Regia di Hirokazu Koreeda vedi scheda film
VENEZIA 76 - CONCORSO - FILM DI APERTURA
La verité (che noi fantasiosi titolisti trasformiamo al plurale) è il titolo della autobiografia che una delle più celebri attrici francesi viventi si appresta a lanciare sul mercato. La donna, che vive in una bella villa parigina vagamente decadente, circondata per lo più da uomini maturi, tra l'ex marito agente e l'amante di origini italiane, appassionato di cucina, riceve, proprio in quei giorni, la visita della figlia, una sceneghiatrice cinquantenne che vive negli Usa col marito attoruncolo di scarso succeso e una bella bimba.
Le rivelazioni che appaiono nel libro, sembrano scontentare chiunque la circondi: dall'agente, che si offende per non essere mai citato, alla figlia, che si trova sulla carta aver vissuto armoniose ed idilliache scene di amore materno a lei nella realtà dei fatti completamente estranee. A complicare la serenità di casa, la nostra diva sta partecipando controvoglia ad un nuovo film, di fantascienza per giunta, in cui i ruoli di madre e di figlia si ribaltano a livello anagrafico grazie ad un curioso escamotage "spaziale". Circostanza buffa ed insita che finisce per creare non pochi scombussolamenti nei rapporti della donna con quella sua speciale famiglia allargata.
Al suo primo progetto internazionale, il gran regista nipponico Kore-eda sceglie la Francia, con una certa strategica contaminazione americana, per continuare ad avventurarsi tra le tematiche a lui più care: le sfaccettature della vita di famiglia, prima di ogni altra cosa. I timori che questa avventura straniera stravolgesse eccessivamente la purezza di un autore sino ad oggi magico anche in quanto profondo osservatore e conoscitore del proprio paese, erano molti. Ma il film, pur rivelandosi senza dubbio il più debole di una lunga carriera di riuscite senza macchia, si mantiene fedele più che può allo stile arguto, ironico ma pacato e poetico dell'autore. Merito soprattutto dei contorni; dei raccordi di ripresa tra una scena madre e l'altra, le occasioni in cui la storia prende fiato e si carica di lirismo e profondità: quelli in cui l'obiettivo si concentra su panoramiche della natura, momenti dedicati a visuali del parco disordinato e un po' trascurato della villa di famiglia, mentre le foglie cadono a terra disordinatamente ma quasi danzando, al suono della musica che è quella del Kore-eda più genuino ed ispirato.
È bello, inoltre, il ruolo di api regine che il regista assegna alle sue due (o più) donne, relegando i maschi a umili fuchi utilizzati dalle femmine, con ironia birichina, per pura convenienza o diletto. Certo Catherine Deneuve non deve sforzarsi granché per recitare qualcosa di probabilmente simile a se stessa, dando vita un po' sempre al medesimo personaggio ormai un po' da troppo tempo. Brava la Binoche, mentre di puro contorno e cornice, uno spaesato ed assai superfluo Ethan Hawke. Pertanto si può dire di trovarci di fronte ad una prova sostanzialmente superata, certo senza infamia, ma anche senza troppe - altrimenti immeritate - lodi, augurandoci tra di noi che il maestro faccia presto ritorno a casa propria.
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