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Le verità

Regia di Hirokazu Koreeda vedi scheda film

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La recensione su Le verità

di EightAndHalf
5 stelle

Cos’è la verità per Hirokazu Kore-eda? Stiamo parlando di un regista che ha sempre fatto della ricerca dell’essenziale obbiettivo primario del suo Cinema, ozu-iano nelle pretese e interessato alla delicatezza dei modi e dei movimenti, finanche al didascalismo più fuori tempo massimo (la penultima Palma d’Oro, Shoplifters, 2018, parla da sola). Ma se si guarda al suo cinema più recente, almeno due titoli cercano di distanziarsi da quelle modalità, e lasciano intendere un occhio registico più curioso e smaliziato: si tratta di The Third Murder, parentesi gialla/poliziesca di notevole impatto – dura e rigorosa, mai scontata – e quest’ultima Vérité, che vede Kore-eda attivo nella sua attesissima produzione francese, a fianco di tre pezzi da novanta come Catherine Deneuve (non si finirà mai di dirlo: splendida), Juliette Binoche (che porta avanti un grande esempio di umiltà attoriale) e Ethan Hawke (il più divertente dei tre). Alla pari dello scontro fra le culture – francese, americana e anche estremorientale in una breve sequenza a quasi fine film – a interessare Kore-eda è lo scontro fra le personalità, fra le generazioni, fra madre e figlia. Proprio quest’ultima empasse è affrontata su più livelli, alcuni più o meno finzionali di altri, col risultato che il film diventa inevitabilmente una parabola sul Cinema come mezzo di comunicazione e empatia, e anche forma di ricongiungimento fra persone e personalità, seppur con tutte le problematiche del caso. Fra la Deneuve che praticamente interpreta se stessa e momenti metacinematografici in cui Kore-eda cerca di far dialogare più dimensioni (realtà, realtà recitata, immagine cinematografica, cinema del vero, addirittura falsi prestigi di mago), il risultato è che all’apparente candore di molti momenti si contrappone pesantemente un’estrema ricercatezza delle forme. Il film è calcolato, artificioso benché parli della necessità delle persone di non esserlo, a tratti stucchevole nella sua indecisione fra la leggerezza di una dissolvenza e la brutalità di uno scarto di montaggio che sembra fatto quasi per sbaglio. Alla fine, rimane la dolce logorrea di attori che è splendido vedere in scena, è splendido ascoltare ed è splendido osservare, con tutte le sfumature dei loro sguardi, occhi e bocche. Non è un caso che il film si costruisca sui primi piani: la riuscita ultima è quasi del tutto affidata alle interpretazioni, che indubbiamente Kore-eda è in grado di sfruttare il più possibile. Forse, date le premesse, non c’era da aspettarsi altro.

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