Regia di Paolo Licata vedi scheda film
Lucia è una picciridda. La chiamano tutti così nel piccolo villaggio siciliano di pescatori e gente semplice in cui vive sul finire degli anni Sessanta. È agli occhi di tutti una bambina, dall'innocenza fatta di sogni, piedi nella sabbia e giochi infantili.
Siamo sul finire degli anni Sessanta e l’Italia è finanziariamente spaccata in due. Mentre il Nord vive la sua espansione economica, il profondo sud sembra essere rimasto fermo nel tempo. Tutto è immobile: si vive di pesca, di agricoltura e di allevamento. I genitori della piccola Lucia, spinti dalla necessità, decidono di emigrare all’estero (la Francia offre loro qualche possibilità) lasciando la bambina alle cure dell’arcigna nonna Maria. Coperta da una corazza che cela chissà quanti e quali terribili segreti, nonna Maria non è di certo la persona più amorevole del mondo: scontrosa, è dura nei modi e nei sentimenti. Alle carezze preferisce il cucchiaio di legno con cui punisce la nipote tutte le volte che disobbedisce ai suoi ordini o alle sue aspettative, così come alle parole dolci preferisce i rimproveri e gli scontri diretti. Come la nonna, anche Lucia ha una personalità forte, determinata e cocciuta. Non sono la cameriera di nessuno, ripete a testa alta alla nonna. Il loro rapporto non è semplice, vive di non detti e di sentimenti smorzati, di serate sul ciglio della porta ad osservare il cielo stellato e di tradizioni secolari che faticano a cedere il passo alla modernità.
La vita in un piccolo villaggio siciliano, ligio all’omertà e al silenzio, non è semplice per nessuno. Dietro le fatiscenti mura di ogni casa, si celano drammi familiari che nessuno osa svelare. Come spesso accade, forse tutti sanno e nessuno parla. Di sicuro, tale affermazione ben calza a Pina, la sorella con cui Maria non ha rapporti e legami da decenni. Sebbene vivano una vicina all’altra e si incontrino spesso in paese, Maria evita persino di salutarla e impone anche alla nipote la non frequentazione. I motivi di tale malcontento e sconcerto restano un mistero: tutto sembra essere legato a un episodio del passato su cui Maria non vuole e non può sorvolare. Nonostante sia una donna sola, ha coraggio Maria. Il suo sguardo non si abbassa mai di fronte a nessuno, nemmeno davanti alla morte che osa sfidare vestendo i corpi di chi è appena deceduto: meglio di lei non sa farlo nessuno, vocifera un compaesano. Rimasta vedova in giovanissima età, ha dovuto separarsi dal figlio e abbracciare la più grande delle responsabilità, la nipote.
Essere donna in Sicilia è una maledizione, significa troppo spesso ingoiare soprusi e violenze. Non lo sa soltanto Maria. Ne è consapevole anche Rosamaria, la giovane figlia di Pina. All’apparenza ribelle e spregiudicata, Rosamaria ha una relazione con un uomo sposato. Lucia è testimone di uno dei loro amplessi tra i meandri di una delle tante cave del posto e, a suo modo, è complice di un segreto che, ancora una volta, nessuno deve sapere. Non lo deve sapere soprattutto zio Saro, quell’uomo tanto affabile eppure enigmatico che nonna Maria poco tollera.
Arrabbiata per essere rimasta dalla nonna, Lucia vive in attesa del momento in cui i suoi genitori dalla Francia la chiameranno accanto a loro. Superato il Natale, si avvia incontro all’estate vivendo l’armonia della sua infanzia in compagnia di una compagnetta di classe, con cui stringe una profonda amicizia. Il giorno in cui arriva la partenza per la Francia è quello in cui Lucia deve dire addio a quel suo mondo tanto incontaminato quanto selvaggio.
Occorre partire dall’evento centrale di Picciridda, opera prima di Paolo Licata, per costruire il complesso puzzle di temi ed emozioni che il film, tratto dall’omonimo romanzo di Catena Fiorello, mette in scena. Non svelando cosa avviene quasi alla fine della storia, , bisogna prendere tale evento come appiglio per capire le ragioni che si celano dietro al comportamento di tutti i personaggi della storia. Adattare un romanzo non è mai semplice e la sceneggiatura di Licata, Chiti e Fiorello, apporta delle modifiche al testo di partenza per concentrarsi sui alcuni nuclei tematici predominanti. La scrittrice, del resto, con il suo romanzo si era affidata alle vicende della sua terra per un racconto che, mescolando temi sociali e antropologici, diviene pian piano universale e senza tempo.
Ancorato nella realtà degli anni Sessanta, Picciridda affronta sin da subito una tematica ancora oggi spinosa, quella dell’emigrazione. Le correnti migratorie da sempre sembrano avere una sola direzione: dal sud del mondo al nord. Accade oggi che dall’Africa si giunga in Europa come accadeva negli anni Sessanta che dalla Sicilia ci si spostasse in Lombardia, in Francia o in Belgio. Le conseguenze a cui l’emigrazione espone sono però le stesse: un manipolo di individui viene sradicato dal proprio territorio e dai propri affetti. A pagare le spese non è solo chi va via ma anche chi resta. Nel caso di Picciridda, abbiamo il punto di vista di chi rimane nel luogo in cui non vi è alcuna speranza per il futuro. Tale punto di vista è sia quello di Lucia sia quello di nonna Maria. Lucia non capisce le ragioni per cui i genitori hanno portato con loro il fratellino e lasciato lei in balia della nonna e delle telefonate che non arrivano mai, come se lei non contasse o non avesse sentimenti. Chi ha mai detto che l’opinione di un bambino non è importante tanto quella di un adulto? Perché nessuno ha chiesto a lei cosa volesse fare, prendendo decisioni per ciò che reputava meglio per lei? Maria, invece, ha un modo diverso di affrontare la lontananza: sa che andare via è l’unico modo per emanciparsi. In cuor suo, Maria spera che anche Lucia possa lasciare quella terra di antiche maledizioni per studiare, diventare qualcuno e cambiare nel suo piccolo il modo in cui gli uomini guardano alle donne.
La questione femminile è il secondo grande tema affrontato da Licata. Cosa vuol dire essere donna e quali rischi comporta l’appartenenza al genere femminile in un contesto chiuso e patriarcale emerge pian piano nella storia. Maria viene da tutti chiamata “Donna Maria”. L’appellativo “donna” prima del nome proprio appartiene al linguaggio siciliano ed è indice di rispetto nei confronti di una signora: per certi versi, equivale all’inglese “madame” ed è indipendente dalla situazione economica. “Donna”, in Sicilia, può essere riferito anche a un’allevatrice di bestie e non solo alla moglie del sindaco, per intenderci. Il rispetto è qualcosa che una donna si guadagna con sacrificio, portando avanti un comportamento moralmente ligio e occupandosi, nel caso degli anni Sessanta, del focolare domestico e delle attività a esso collegate nella maniera migliore possibile. Per essere “donna” occorre anche tenere testa agli uomini e affrontarli sul loro stesso terreno. Maria non ha paura degli uomini: non teme il confronto. Ha paura però delle bestie in cui gli uomini possono trasformarsi. Maria è una donna diversa dalla sorella Pina. Ma quanto una donna può davvero sopportare? Qual è il limite da non superare? E una donna diversa è anche Lucia, una volta divenuta adulta e chiamata a tornare dopo tanti anni di assenza nella terra in cui è cresciuta.
Licata, alla sua opera prima, si affida alle sue protagoniste per costruire un’opera tanto forte quanto emotivamente delicata. Non deve essere stato facile affrontare certi temi. Correva il rischio, da uomo, di cadere nei luoghi comuni. Fortunatamente, ha saputo ricavare una sceneggiatura che, pur procedendo per non detti, è in grado di evidenziare quale dolore le protagoniste portino sulle spalle. La solida regia e i primi piani trovano, senza sollazzi o inutili voli pindarici, una perfetta controparte nella natura incontaminata dell’isola di Favignana, in cui il regista sceglie di ambientare la storia. Favignana, per chi non la conosce, è una delle isole che compongono l’arcipelago delle Egadi, di fronte alla città siciliana di Trapani. L’isola con le sue cave di tufo è un regno in cui tutto sembra essersi fermato: le vecchie abitazioni, gli sconfinati spazi verdi, le praterie assolate, le notti stellate, il mare cristallino, la sabbia finissima e le alte rocce, segnano un paesaggio in cui l’uomo sembra essere soltanto di contorno. Il contrasto che si crea tra Natura, Cultura e Uomo, diviene per tale ragione fortissimo: alla serenità che i luoghi trasmettono si alterna l’orrore di cui l’essere umano è capace, alla magia di una cava che sprofonda tra le acque si sovrappone il desiderio di una giovane di porre fine alla propria vita, nei riti legati a una processione della Bedda Matri si ripongono tutte le speranze, ai defunti si allega una foto per evitare distrazioni nell’aldilà e alla sabbia dorata si assegna il compito di far tornare Lucia ai suoi giochi e al suo essere picciridda.
Nel racconto di formazione che il regista sviluppa grande peso hanno le prove attoriali. La piccola Lucia ha il volto della giovanissima Marta Castiglia, per la prima volta sullo schermo: ai suoi occhi e ai suoi ricci ribelli è affidato il compito di traghettarci tra i meandri della cattiveria umana. Nonna Maria ha invece le fattezze e il manto di Lucia Sardo, attrice siciliana alla sua ennesima interpretazione madre. Nota per essere stata un’immensa Felicia Impastato in I cento passi di Marco Tullio Giordana e una straordinaria prostituta dal cuore materno nel poco oculatamente dimenticato Le buttane di Aurelio Grimaldi, la Sardo illumina lo schermo con una prova viscerale e sentita, con una recitazione che di pancia rende il suo personaggio sofferto e al tempo stesso sofferente, in grado di celare dietro a sguardi, espressioni e movimenti, i simboli di una femminilità violata ma mai domata. Fa piacere, inoltre, sottolineare la presenza nei panni di Pina di Ileana Rigano, grande attrice di teatro che al cinema ha lavorato al servizio di registi come Lina Wertmüller e Mauro Bolognini (anche se il grande pubblico la ricorda per il ruolo di Maria Castellino in Il commissario Montalbano – Una faccenda delicata): il suo pianto “silenzioso” è qualcosa che dovrebbe spingere molte donne a voler dir basta a chi si ritiene padrone di vite che non gli appartengono.
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