Regia di Woody Allen vedi scheda film
Alcuni lo definiscono l’ultimo grande Allen, strascico di quel periodo d’oro che sembrava ormai lontano. Effettivamente, questo “Harry a pezzi” è la summa di tutti i tic, le manie, anche i topos cinematografici del grande regista americano. La formula del film è quella usuale: Woody Allen scrive, dirige ed interpreta una sua creatura, una pellicola in cui stavolta si parla di un erotomane schizzato di 60 anni, incapace di mantenere i rapporti interpersonali con l’altro sesso (sorella, fidanzata, moglie che sia), fortemente anticlericale, particolarmente arguto. Allen è Harry, uno scrittore col classico blocco temporaneo, che deve recarsi presso un istituto universitario per ritirare un premio. Comincia la sua epopea per trovare qualcuno che lo accompagni; pian piano capisce che i personaggi dei suoi libri sono gli unici che gli sono rimasti fedeli. Alla fine si presenta alla cerimonia con una prostituta, un cadavere ed il figlio (rapito!).
Commedia esilarante, a metà, per trama, tra “Il posto delle fragole” e “Otto e mezzo”, ma fortemente proiettato sull’egocentrismo del protagonista. Assolutamente geniale l’alternanza tra la vita reale di Harry e le vicende dei suoi personaggi (interpretati da un buon cast, con Demi Moore, Robin Williams e Kirstie Alley su tutti): un rapporto di odio-amore, con una incompatibilità di fondo testimoniata dal montaggio delle due dimensioni: la vita di Harry Bloch non è scorrevole: reitera, salta, è fuori sincro, mentre la scorrevolezza delle vite dei suoi personaggi danno credito alle parole del suo amico Larry (Billy Cristal) che lo ammonisce di aver messo l’arte nel lavoro, ma non nella vita.
Da consegnare agli annali la discesa di Harry negli inferi.
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