Regia di Dennis Hopper vedi scheda film
Girato nella Los Angeles del 1987 in preda alla criminalità, “Colors” di Dennis Hopper divenne istantaneamente un cult, in quanto fu il lungometraggio che presentò al pubblico le due bande più pericolose della famosa metropoli americana: i Bloods e i Creeps. I main character sono degli agenti di pattuglia della divisione investigativa C.R.A.S.H. (Community Resources Against Street Hoodlums), il cui contrasto dei modus operandi si mescola causticamente: l’ufficiale attempato Bob Hodges (Robert Duvall) e il belligerante Danny "Pac-Man" McGavin (Sean Penn). Nei violenti quartieri di periferia, McGavin, una guardia non corrotta ma colma di una rabbia repressa, pensa che se si vuole evitare di farsi sopraffare si deve usare il pugno di ferro. Hodges, invece, dopo un’esperienza quasi ventennale, sa che in un paese in cui la vita di un membro delle forze dell’ordine vale quanto quella di un delinquente, bisogna procedere con cautela, tentando un “compromesso” con chi sta di solito dietro le sbarre; in caso contrario rimanere vittima degli spietati killer che popolano i sobborghi non apparirà come un'eventualità lontana dal materializzarsi (la metafora sui “tori” e le “mucche”, raccontata in forma di barzelletta, sembra emblematica). Avranno luogo delle tensioni? Certamente… Ambendo prevalentemente a scandagliare l’approccio perturbante di questi tutori della legge così in antitesi (non ci troviamo davanti a un “buddy-movie”, i metodi rigidi e determinati di McGavin non saranno mai compatibili col collega), Hopper dirige “Colors” offrendo uno spaccato urbano lacerante e realistico, privo di sentimentalismo, ove la comunità viene regolarmente oberata dalla teppa. L’efficace cinematografia artigianale garantisce ferali sparatorie e inseguimenti adrenalinici, mantenendo un ritmo solo occasionalmente zoppicante. Grintose e attanaglianti le musiche rap (genere decisamente poco diffuso ai tempi nelle foggie meno commerciali) e strumentali di Ice-T e Herbie Hancock. Duvall intanto conferisce una profondità incisiva nella sua performance drammatica. Un po’ caricata però quella di Penn, anche se conferma una psicologia disturbata che, fortunatamente, non tracima nell’iperbole. Lodevole Don Cheadle nel ruolo dell’assassino “Rocket”: pur in una sagoma facilmente stereotipabile riesce a mostrare un equilibrio non comune, mirato a non enfatizzare troppo l’esibizione. Non sfigurano le parti minori di Damon Wayans (il fattone “bistecca”, nei rari sprazzi comici) e Maria Conchita Alonso (Louisa). I limiti verranno riscontrati a causa della guisa a basso budget, la quale si palesa nei costumi a volte mediocri e nei secondari non particolarmente memorabili (specie nel gruppo dei Barrios). Leggermente approssimativo il passaggio dove Rocket sospetta dei traditori andando per esclusione. Quesito finale… veramente l’audience avrebbe creduto che il componente dei Blood Clarence (Glenn Plummer) era (nella finzione) un diciottenne?!
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