Regia di Rodrigo Sorogoyen vedi scheda film
L’incipit, un quarto d’ora folgorante, costituisce un capolavoro a sé. Elena è al telefono col figlio: in un unico piano sequenza c’è il progressivo e insostenibile crescendo di tensione, angoscia e impotenza che portano alla perdita definitiva, al mistero insondabile. Semplicemente da manuale, un pezzo di cinema attanagliante, che porta l’immaginazione alle estreme conseguenze, oltre quello spazio, oltre quella linea telefonica.
Peccato che dopo la meravigliosa partenza il film si (dis)perda: le circostanze inerenti l’evento critico costituente il motore della vicenda – la sparizione del figlio – rimangono non spiegate. Ambiguità costruttiva? No, è una voragine colpevole di allontanare lo spettatore, respingendo la sua partecipazione ad un racconto vanesio. Perché da lì in avanti, “Madre” diventa la sterile e già sentita – storia di un’infatuazione tra una donna troppo matura e un ragazzino troppo giovane. Con tutte le deleterie ma prevedibili conseguenze.
Vi direi fermatevi ai primi quindici/venti minuti, visti i quali è invece comprensibilmente impossibile abbandonare la visione.
La buona regia, i seducenti campi lunghi sulla spiaggia con Elena vagante, irrequieta e in fondo disperata, quindi il già citato incipit sono ciò che va salvato di questo deludente “Madre”, reo oltretutto di una durata eccessiva.
Si va a braccetto con la prevedibilità per finire in un nulla suggellato dall’insignificante finale, passando anche per una sequenza francamente tremenda, quella del viaggio in macchina con i tre ragazzi per andare in montagna.
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