Regia di Francis Ford Coppola vedi scheda film
Coppola traspone su pellicola uno dei tanti romanzi del prolifico Grisham e ne fa un legal thriller solido, ben strutturato, attento a valorizzare tutti gli aspetti che compongono i tasselli del quadro probatorio che gradualmente - non senza tribolazioni varie e colpi di scena svelati a colpi di obiezioni e controbiezioni (e di citazioni, a sorpresa, di testimoni e di sconosciuti precedenti giurisprudenziali ecc.) - prende forma. La stessa (ça va sans dire) che avremmo tutti auspicato.
La punta di pedanteria della rappresentazione di riti e procedure da aula di tribunale e la finzione posticcia di una sottotrama che si presta a schematismi puerili (buoni solo per romantici e sempliciotti) potrebbero rischiare, a tratti, di frenare il ritmo fluido e regolare della narrazione (e di deprezzare il valore dell’opera).
Narrazione che, tuttavia, si fregia di molto altro.
Fra il serio ed il faceto (accattivante è la dignità quasi “apotropaica” dell’autoironia del giovane protagonista, ma, parimenti, la franchezza e la gestualità di un bravo DeVito lasciano il segno) Grisham, prima, e Coppola, dopo, si servono di una prospettiva fresca e sincera - come solo può essere quella di un giovane di belle speranze, pieno di talento, di idealismo e di nobili principi (non ancora corazzato dal cinismo: dedo), disposto a rischiare tutto già fin dalla sua prima causa (il rischio sfracellamento è assai elevato) - per mettere alla sbarra il sistema (inesistente) del walfare americano (che dà in mano ai privati la gestione del servizio sanitario).
E, fra mille insidie, porta a casa una gratificazione personale che ha il sapore di una rivalsa di importanza storica; ma che ha il sapore, altresì, dell’amarezza più profonda.
La consapevolezza che la legge è cosa buona per pescecani e mestieranti.
Che la giustizia sociale non si trova a proprio agio nelle aule di tribunale.
Che, quindi, è meglio cercarla altrove.
Una consapevolezza che nessuna barzelletta potrà mai addolcire.
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