Regia di Stephen Merchant vedi scheda film
Qualsiasi sia il settore prescelto, il viatico che conduce alla realizzazione delle proprie ambizioni è lastricato di ostacoli. Di giorni in cui ti senti invincibile e pronto a superare qualunque difficoltà, così come da altri in cui lo sconforto prende il sopravvento e vorresti semplicemente gettare la spugna una volta per tutte. Di crocevia che selezionano chi ce la farà da chi è destinato a fallire, ritirandosi mestamente con le pive nel sacco.
Una famiglia al tappeto scende tra le strade di quelle periferie che concedono al massimo sporadiche occasioni di riscatto e sale sul ring destinato a ospitare incontri di wrestling, affiancando chi parte svantaggiato, chi culla un sogno e deve modificare alla radice le sue abitudini per afferrare la palla al balzo, così da non vanificare i sacrifici di anni dando una svolta significativa alla traiettoria del destino.
Norwich, 2010. Dopo dei trascorsi criminali, Ricky Knight (Nick Frost), coadiuvato da sua moglie Julia (Lena Headey) e dalla passione dei suoi figli Zak (Jack Lowden) e Saraya (Florence Pugh), riversa tutte le energie nel wrestling, organizzando piccoli eventi locali.
Grazie a questo impegno imperterrito, Zak e Saraya riescono a partecipare a un provino organizzato dalla WWE e gestito dall’esperto Hutch (Vince Vaughn). Dopo una lunga fase di selezione, solo Saraya viene promossa e agguanta un invito a trasferirsi negli Stati Uniti.
Per la prima volta, dovrà separarsi dalla sua famiglia e affrontare una realtà sconosciuta e ostile, facendo affidamento esclusivamente sulle proprie forze.
Partendo dal documentario The wrestlers: Fighting with my family, che fulminò Dwayne Johnson, Una famiglia al tappeto mette a terra una biografia che dispone nelle sue corde di un nutrito ventaglio di argomenti da spendere.
Come prima cosa, s’introduce nel panorama del wrestling, per giunta con prevalente declinazione al femminile (vedi GLOW), prendendo la rincorsa dalle retrovie per poi scalare un gradino alla volta, in una lotta per ottenere una vita migliore che vede scontrarsi la forza di volontà con prove da affrontare senza ammettere un secondo appello, tra vittorie rinfrancanti e sconfitte dolorose.
Questo itinerario è scandito attraverso una provvidenziale capacità di adattamento, una forbice di tonalità che oscilla tra il senso della commedia del regista Stephen Merchant – autore britannico, principalmente noto in televisione per la serie The office mentre sul grande schermo per il ruolo di Calibano in Logan – e schegge drammatiche, con insistiti sbalzi d’umore che liberano una variegata gamma di vibrazioni positive.
In più, entrando e uscendo instancabilmente dal ring, annovera a referto due tipologie di famiglia (di sangue e di chi condivide la medesima passione primaria), mentre sorgono in maniera naturale i parallelismi tra il fenomeno di costume del wrestling, definito da Hutch come una soap opera in spandex, e il cinema, due forme d’intrattenimento che condividono la finzione e la costruzione certosina di uno spettacolo che deve conquistare il pubblico, le rivalità e la solidarietà, il fatto che in pochi raggiungono la gloria mentre la maggioranza rientra nella schiera degli sconfitti.
Un insieme di elevato dinamismo, valorizzato da una mirabile costruzione dei personaggi e da un cast eterogeneo e sfizioso. Se Florence Pugh domina la scena con generosa abnegazione, continuando ad accumulare esperienze gratificanti dopo Lady Macbeth e Midsommar – Il villaggio dei dannati, Nick Frost occupa i principali spazi comici con la solita e scoppiettante verve, Lena Headey assolve il ruolo di spalla con sincera partecipazione e Vince Vaughn delinea con disinvoltura la posizione di mentore/istruttore, mentre Dwayne Johnson torna a rivestire i panni di The Rock, lasciando il segno con un paio di scene galvanizzanti, per carisma, carica emotiva e simpatia.
In sintesi, Una famiglia al tappeto, passato immeritatamente del tutto inosservato in sala, apre le porte agli underdog, a chi parte con tutti gli sfavori del pronostico ma poi si rimbocca le maniche e prende il toro per le corna. Concepisce un romanzo di formazione e di affermazione che, con innata dimestichezza e una spiccata collaborazione tra gli artisti coinvolti, va oltre i limiti dettati da una punteggiatura filmica soggetta a parecchie sollecitazioni e a una generale prevedibilità, stabilendo un perimetro poliedrico, nel quale coesistono incursioni stravaganti, uno spirito intraprendente e un messaggio inclusivo, in grado di trasmettere un nobile segnale di incoraggiamento.
Coinvolgente.
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