Ventiquattr'ore per raccontare una splendida, anacronistica, malefica famiglia borghese, collocata nel bassofondo della provincia del nord, dove abbondano segreti e ignominie, pettegolezzi e ridondanze, invidie e bugie, farcite come crema chantilly da: PAURA DEL PROSSIMO, PRECONCETTI di salviniana memoria su stranieri, in particolare rumeni. Potrebbero altresì andar bene anche arabi, ucraini, moldavi, africani, ora anche cinesi, per sfogare l'atavico timore dell'altro da sè, di cui i giornali sono pieni zeppi in episodi di xenofobia, dallo stadio alle realtà casalinghe, dalla salute pubblica alla tutela della proprietà privata e il proprio giardinetto.
Di giorno le compite "sjure" e i loro mariti ostentano pubblica virtù ai tavolini dei caffè. Poi, di notte, o in momenti dove nessuno osserva, si scivola nel noir ed esplode il lato oscuro della provincia, dalla commedia alla tragedia, dal dialetto veneto ai linguaggi della violenza, in un susseguirsi di meschinità e macabre dinamiche. I sette vizi capitali sono splendidamente incarnati dai sette protagonisti e si palesano ai nostri occhi quasi con innocenza. Nessuno è accusabile di nulla anche se, tutti insieme, si macchieranno del peggiore dei peccati che ovviamente cercheranno di omettere anche attraverso corruzione, bugie o denaro.
Giallini come sempre naturale e credibile, rilassato e vero, da valore allo script e contribuisce alla riuscita di una pellicola intelligente che non cede a compromessi e a inutili banalità o ridondanze. Stessa cosa vale per Massimilano Gallo, il commissiario Panti, figura un pò intrallazzona e Vinicio Marchioni, nel ruolo del prete di paese, Don Carlo. Anche Cristina Flutur, con aria dimessa, è perfetta per il ruolo di domestica rumena; nel complesso gli attori dialogano bene tra loro, sono diretti con intelligenza e creano sinergie postive.
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