Regia di Ivano De Matteo vedi scheda film
Ibrido tra commedia di costume e thriller. Non originale, tuttavia interessante
Siamo in una cittadina del nordest, Diletta, impersonata da Michela Cescon, è infelicemente sposata con Giorgio, alias Marco Giallini, un imprenditore fedifrago, che lavora nell’impresa di proprietà della suocera; Sonja, la brava Cristina Fluttuar, è una rumena che presta servizio, presso la casa della di lei madre, la mitica Erika Blank, mentre il figlio Adrian flirta con la ribelle Bea, la figlia più grande; poi compaiono il mellifluo Dottor De Santis alias Bebo Storti, il corrotto commissario Ponti, Massimiliano Gallo e infine il parroco Don Carlo, incallito latin-lover, che organizza con Diletta feste di beneficenza; le loro vite si incrociano a causa di un tragico evento. La storia è articolata in due parti. La prima diurna, girata in esterno è preparatoria, ha un tono da commedia di costume, descrive la vita di provincia, presentando i personaggi di cui sopra, nei loro rispettivi habitat: il bar della piazza, il coiffeur, la parrocchia; li vediamo intrattenersi in convenevoli, chiacchiere e soprattutto velenosi pettegolezzi, tinti di razzismo becero; la seconda, notturna, claustrofobica, è quella noir, in cui l’azione si svolge nella villetta di cui al titolo, luogo dello sviluppo del racconto, in cui emergono i “lati oscuri”, dopo uno sciagurato colpo di pistola, sparato a bruciapelo da una spaventata e annebbiata Diletta, imbottita di psicofarmaci, che ha scambiato Adrian per un ladro. Così dall'esterno giorno si passa all'interno notte, dalla commedia all'italiana al thriller tinto di nero; la tragedia coinvolge tutti e ne rivela la bassezza morale; c'è un colpevole, ma gli altri sono complici e nessuno innocente, come da didascalie iniziali. Nell’incipit e nel corso del film, il regista De Matteo, coadiuvato alla sceneggiatura dalla moglie, inserisce alcune brevi clip documentaristiche, scene del mondo animale, ove vige la legge della giungla e ci si muove, guidati dall’istinto di conservazione, ossia vince e sopravvive solo il più forte; nella fauna umana, non è diverso, vince il più forte, cioè chi dispone di più denaro o chi detiene un potere, a perdere non è chi ha torto, ma chi è più debole. Abbiamo qui un campionario sociale ben disegnato, forse anche troppo: un marito maneggione, una moglie depressa e nevrotica, una figlia ribelle, un prete “avvezzo ai piaceri della carne, più che dello spirito ”,un medico viscido, una cameriera accomodante, un poliziotto ambiguo, una matriarca dalla lingua tagliente, un ragazzo, che da immigrato ”tuttofare”, sembra perfetto per fare da capro espiatorio; dunque la sceneggiatura non ha bisogno di scavare troppo per connotare ulteriormente i personaggi, Il racconto,con i dovuti "distinguo" riporta alla memoria ”il capitale umano “ di Virzì,un cinema verità e denuncia, che attinge alla cronaca quotidiana; De Matteo indugia su temi importanti e attuali: il diritto all’autodifesa e l’eccesso di legittima difesa, poi il fenomeno migratorio, con tutte le sue implicazioni . Non male, anche se un po' didascalico e prevedibile nello sviluppo e nel finale.
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