Regia di John Cassavetes vedi scheda film
Cassavetes riesce prodigiosamente a fondere il realismo più ardito con un collage di suggestioni stravaganti ed effimere: la verità nuda e cruda, fatta di carne e desiderio, arriva comunque a tingersi delle avvolgenti tonalità del noir - ossia della sua brutale malia e delle sue subdole contraddizioni - come una spogliarellista in uno spettacolo fatto di seducenti doppi sensi e sofisticate allusioni. La penombra del night club rappresenta, nella personalità di Cosmo Vitelli, quella piega di delicatezza in cui si annidano sia la debolezza e la propensione al vizio, sia la sensibilità estetica ed umana che fa di lui un raffinato regista della vita ambigua e marginale. Il suo locale è il regno in cui i beni della bellezza e della ricchezza si sottraggono alla volgare logica del successo e del fallimento, perché si collocano in una indistinta zona franca tra sogno e realtà, in cui tutto è a portata di mano, però resta inafferrabile, come l'illusione che si crea sul palcoscenico. Cosmo ama la vita buttata in un angolo, gettata come una fiche sul bordo del piatto, che un po' partecipa al gioco e un po' rimane in disparte a guardare gli altri mentre si divertono. Per questo egli è l'uomo dalle tante donne, ma con un amore solo; e che, mentre tutto incoscientemente punta sul tavolo del poker, tutto scrupolosamente reinveste negli affari. Intorno a lui gli aspri accenti della malavita sono la fredda poesia del mondo abbandonato dalla morale e dal sentimento; il tono è ruvido e gelato come l'asfalto della strada, a cui la regia non aggiunge né colore né forma. Il contesto umano è volutamente spento, glaciale come la luce del giorno che si impone impudentemente alla vista; tocca allora allo sguardo il compito di accendere la scena, scovando - come la macchina da presa di Cassavetes – quelle prospettive curiose e quelle messe a fuoco insolite che danno, all'immagine cinematografica, la vivace e soggettiva imperfezione della testimonianza.
"L'assassinio di un allibratore cinese" è un capolavoro della fantasia che, con un inimitabile salto acrobatico, assume le prosaiche forme del reale, esaltandone i lati più feroci e suggerendo, allo stesso tempo, una fuga nella cupa ebbrezza della negazione.
Superlativo. Il suo monologo nel camerino è una prova recitativa di incredibile valore.
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