Regia di John Frankenheimer vedi scheda film
In principio era il buskashì, il gioco (chiamiamolo gioco…) tradizionale afgano, disputato tra squadre di cavalieri, il cui scopo è di portare in una certa area, contrassegnata da una bandiera, la carcassa di una capra senza testa. È un gioco indubbiamente molto violento e spettacolare. Ma il film non ruota soltanto intorno al buskashì, le cui sequenze, peraltro, Frankenheimer gira divinamente (tanto che lo spettatore ha la sensazione di trovarsi davvero in mezzo alla contesa). Il film è anche un romanzo di formazione (per il quale, detto per inciso, Omar Sharif appare già un po’ troppo vecchio). E la presa di coscienza del protagonista, che attraverso la sconfitta “sportiva” e la perdita di una gamba cessa di essere semplicemente il figlio del capo, del grande chapandòz Il cavaliere del buskashì), è punteggiata da una serie di combattimenti tra animali (galli, cammelli, montoni) che avranno una parte fondamentale nella sua crescita come uomo. Cavalieri selvaggi è un western d’ambientazione asiatica, che mostra come il bisogno di autonomia e di libertà non conosca latitudini né tradizioni né differenze di religione.
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