Regia di Antoine Raimbault vedi scheda film
Non è la storia della lodevole e coraggiosa impresa di una donna comune contro una plateale ingiustizia. E' invece la storia della parossistica ossessione che spinge una donna disturbata a occuparsi di una vicenda processuale subordinando e compromettendo ogni punto fermo della sua vita: il lavoro, il rapporto con il compagno (se così si può chiamare...) e il rapporto con il figlio, se non la sua stessa (del figlio) vita.
Lo spettatore che assiste al processo in maniera obiettiva si rende conto sì che le indagini sono state superficiali e anche "pilotate" verso la soluzione più semplice e che il caso è essenzialmente indiziario; di modo da non poter arrivare oltre ogni ragionevole dubbio a una sentenza di condanna; ma lo stesso spettatore agnostico dovrebbe ammettere che l'imputato rimane comunque, al di là dell'aspetto processuale, il candidato più probabile come assassino della moglie scomparsa.
Eppure sembra che in tanti diano per scontata la sua innocenza.
Ma torniamo al film.
Domina la scena la protagonista principale, una donna comune che si lascia prendere talmente tanto da un caso giudiziario da lanciarsi a capofitto in ricerche e indagini scrupolose sì ma anche maniacali, perdendo qualunque senso della misura, per vedere ribaltata la precedente sentenza di colpevolezza: non un'eroina, ma una squilibrata. Una pericolosa monoteista, come la chiamerebbe Matteo Galiazzo nel suo romanzo Cargo; un pesce giovane, come la vedrebbe David Foster Wallace nel suo famoso discorso ai laureandi del Kenyon College; una persona, cioè, che ha un'unica, granitica, visione del mondo che la guida in tutte le sue azioni, incapace di concepire l'esistenza di alternative. Una persona per cui ho provato, nel corso della visione del film, un'avversione sempre più forte. Una persona che non è mossa da un senso di giustizia o di solidarietà, ma dall'ossessione di affermare ciò che ritiene la verità e di farla trionfare per tutti.
Giusto ieri ho visto il filmato di un'attivista del (o si dice contro il?) riscaldamento globale incollare la sua testa a un dipinto in un famoso museo. Un pazzo simile alla falsa eroina del film, uno che crede, anzi, che è assolutamente convinto, di fare la cosa giusta per il bene dell'umanità; senza rendersi conto di essere un pericoloso, o forse patetico, estremista, la cui mente bacata vede un unico grande, pericolo per la nostra civiltà al cui cospetto tutte le altre ingiustizie e le altre preoccupazioni scompaiono perché non hanno senso di esistere; una persona disposta a rimetterci del proprio nella convinzione di operare per il bene dell'intera società. Basta fare mente locale per accorgerci di altri esempi a noi vicini: i novax che credono sia stata messa in atto una discriminazione criminale e invocano un nuovo processo di Norimberga, e non parlano d'altro, e dall'altra parte coloro che difendono ciecamente le decisioni del governo ritenendole supportate dagli scienziati e dalla scienza, dimenticando che la scienza prima di tutto è dubbio; i sostenitori dell'Ucraina senza se e senza ma, che continuano a ripetere "c'è un aggressore e un aggredito", come se il mondo fosse stato creato il 22 febbraio 2022 e ciò che è venuto prima non contasse nulla, e tacciano dei peggiori giudizi morali chi non la pensa come loro, e ritengono che il primo principio che deve muovere le nostre azioni di uomini liberi e retti sia la difesa della "democratica" Ucraina.
Ma anche tutti e dico tutti gli altri personaggi del film sono negativi.
A cominciare dall'avvocato difensore, una figura estremamente ambigua, che si serve direi spudoratamente del lavoro della protagonista salvo rinnegarla quando si rende conto del suo stato patologico, per poi tornare a fare tesoro delle sue di lei nuove scoperte. Penso però che il film non descriva queste continue giravolte in maniera convincente, facendo perdere di credibilità al personaggio.
E poi ancora.
Il marito della donna scomparsa che partecipa quasi catatonico al processo e testimoniando in maniera decisamente maldestra e del tutto incapace di allontanare i sospetti da lui (perché era davvero depresso come sostenevano i suoi cari o perché così gli conveniva apparire per comportamenti che - da colpevole - non avrebbe saputo giustificare?).
L'amante della donna scomparsa che, mosso da forte antipatia (o forse intima convinzione anche la sua?) verso il marito, dichiara il falso pur di farlo condannare, ma lo fa anch'esso in maniera così maldestra da finire con l'apparire per ciò che è: un mitomane, un patetico mestatore nel torbido.
Il funzionario di polizia che, avendo a suo tempo cercato di forzare la mano per costringere il presunto colpevole a confessare, giustifica il suo operato sostenendo di essere stato mosso da "un'ipotesi" (e questo è un altro punto di estrema debolezza del film, perché faccio fatica a credere che un poliziotto in un processo sostenga la sua posizione parlando di ipotesi e non di prove).
Io non sono sicuro di cosa abbia portato diversi recensori a schierarsi dalla parte dell'imputato senza avere dubbi: se l'inadeguatezza delle prove presentate a suo carico durante il processo, o l'intima convinzione della protagonista che fa di tutto per scagionarlo. Ma, come dice il regista nella scheda, un'intima convinzione non suffragata dai fatti; un'intima convinzione per la quale si è disposti a sacrificare ogni altra cosa. A cominciare dalla consapevolezza di assumere una posizione ancora più talebana di chi, per convenienza o negligenza, aveva condannato l'imputato in primo grado.
Insomma, un paradossale ribaltamento del senso del film: l'avvertimento che un'intima convinzione può completamente accecare la ragione di una persona normale, impedendogli di vedere l'ambiguità, l'incertezza e l'ambivalenza insita in ogni vicenda umana.
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