Regia di James Mangold vedi scheda film
Cinema e motori, gioie (poche) e dolori (molti).
A invertire questa tendenza ci prova questa volta il poliedrico regista James Mangold, adattando per lo schermo (è sua anche la sceneggiatura) la vera storia di Carroll Shelby e Ken Miles e del loro sogno di riuscire a realizzare una macchina in grado di mettere termine al dominio Ferrari nella corsa probabilmente più famosa del mondo negli anni ‘60, le 24 Ore di Le Mans.
Si. Esatto.
Perchè anche se il film in originale si chiamava (e si chiama ancora) Ford Vs. Ferrari in barba ai luoghi comuni (in questo caso comunque quasi sempre esatti) è proprio il titolo originale a ingannare il pubblico mentre è invece quello italiano ad essere più coerente con quanto raccontato sullo schermo (in fondo, prima o poi, doveva pur succedere, no?).
Questo perchè la vera sfida di cui tratta la pellicola non è, nonostante il titolo, tra le due case produttrici di automobili dalla filosofia praticamente agli antipodi (globale, economicamente materialistica quella americana di Ford, familiare, elitariamente romantica quella italiana di Enzo Ferrari) e che, pur se premessa della storia stessa, finisce invece per rimanere quasi sullo sfondo, ma quella dei suoi due protagonisti, l’americano Carroll Shelby e l’inglese Ken Milles, appassionati di macchine e corse e, soprattutto, “Cowboy” d’altri tempi, almeno nello spirito, che hanno scambiato cavalli veri con quelli di un’auto da corsa, e il mondo spietato del capitalismo più sfrenato incarnato da John Ford II e dai suoi innumerevoli executive pronti a tutto pur di difendere le loro logiche industriali e/o di marketing anche a danno del successo stesso e, quindi, della vittoria.
E perchè Le Mans ‘66 è soprattutto una classica storia americana, in parte perchè l’idea di cinema di Mangold è quanto, ad oggi, più si avvicina a tale definizione in campo cinematografico e in parte perchè la pellicola stessa riprende prepotentemente il classicissimo tema, molto U.S.A., del self-made man e dell’uomo comune che, combattendo contro tutto e tutti per i suoi ideali, riesce comunque a raggiungere il suo obiettivo (e non è certo un caso che il film si apre e chiude con una domanda riguardante la propria identità e a ciò che si è veramente) e, a riguardo, il confronto anche ideologico o filosofico con un’altra cultura come quella italiana sarebbe risultata inutile o comunque fuori posto per le intenzioni del suo regista.
Intenzioni nelle quali è piuttosto facile leggere nel lavoro di Mangold una metafora, anche piuttosto dibattuta e attuale, della lotta tra il talento personale e le esigenze degli altri e, concentrandosi soprattutto sul conflitto tra i dirigenti della Ford e la coppia di protagonisti, le ingerenze tra coloro che decidono, in quanto detentori di soldi e potere, e di chi è chiamato a realizzare, con il proprio talento, i loro stessi propositi, anche a loro rischio, così come è facile vederci un’ulteriore allegoria, nemmeno troppo velata, all’industria cinematografica hollywoodiana e alle loro intromissioni nello sviluppo creativo delle loro stesse pellicole.
Non sorprende quindi troppo la sua natura tronfiamente americana ma, al di la di questo, Il film riesce a colpire comunque il bersaglio grazie a un ritmo e a un montaggio serratissimo che riesce, nonostante la notevole lunghezza, a mantenere costantemente alta la tensione, anche grazie all’ottimo lavoro sia per scenografia e, soprattutto, sonoro che per la fotografia oltre che per il lavoro sui personaggi, splendidamente caratterizzati, e al supporto fondamentale di un casting praticamente perfetto sia riguardo ai suoi protagonisti principali, da Matt Damon al poliedrico Christian Bale, alla sua ennessima interpretazione magistrale, che anche per la resa di quelli secondari, dall’odioso e borioso Henry Ford II di Tracy Letts al Lee Iacocca di Jon Bernthal, dalla solare Catrione Belfe fino al nostro Remo Girone per finire all’arrogante Leo Beebe di Josh Lucas.
E non poteva che essere diversamente, in fondo, perchè il film di Mangold, come già detto, più che un film di macchine e fabbriche in lotta tra loro è soprattutto una storia di uomini, dei loro sogni e di cosa si è disposti (obbligati?) a fare pur di realizzarli.
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