Regia di Danny Boyle vedi scheda film
Non un capolavoro, ma da non perdere per chi ha amato o ama ancora i Beatles.
Il voto elevato che gli assegno è motivato più da un’adesione emotiva che non da una valutazione critica del prodotto cinematografico. Se cinquant’anni fa mi avessero detto che nel 2019 si sarebbero ancora realizzati film sui Beatles, avrei reagito rilanciando: “Ma anche tra due o tre secoli!”. Molti miei coetanei possono confermare che negli anni ’60 avevamo la certezza di essere testimoni privilegiati di un fenomeno musicale straordinario, destinato ad essere ricordato e tenuto in vita da molte, molte, molte generazioni. Fino ad ora, sembra che avessimo visto giusto e “Yesterday” di Danny Boyle va ad aggiungersi ad alcuni altri titoli, tra i quali non posso non citare l’elegante “Across the universe” di Julie Taymor (2007), il sorprendente “La vita è facile a occhi chiusi” di David Trueba (2011) e il preziosissimo “George Harrison: Linving in the material world” (2013) di Martin Scorsese.
La trama di questo film è piuttosto esile e tutt’altro che originale. Qualcuno ricorderà forse “Jean-Philippe” di Laurent Tuel (2006), nel quale un fan sfegatato di Johnny Hallyday, si svegliava in un mondo che non aveva mai conosciuto il cantante. L’interpretazione di Fabrice Luchini ne assicurò un notevole successo. Qui, la regia non ha nulla di stratosferico e la recitazione si mantiene su un livello accettabile, senza acuti particolari. Il punto di partenza resta però potente e fantasioso. Come tutti ormai sanno, si immagina che, in seguito ad un blackout globale durato solo dodici secondi, nel mondo si sia persa ogni traccia dell’esistenza dei Beatles. Nessuno ne ha mai sentito parlare, eccetto Jack Malik, uno spiantato cantautore in crisi che ben presto capisce di essere in possesso di un patrimonio di inestimabile valore. La scena in cui esegue “Yesterday” accompagnandosi con la chitarra e scopre l’amnesia collettiva dei suoi amici è semplicemente geniale. Non meno spassoso il suo tentativo di interpretare “Let it be” di fronte a genitori e amici di famiglia distratti, che lo interrompono in continuazione. La vicenda prosegue gradevolmente e senza particolari colpi di scena, dando per scontato che la musica dei Beatles è di per sé talmente sublime da riscuotere un successo mondiale chiunque la interpeti, anche se proposta senza alcun rispetto della cronologia delle canzoni, quindi dell’evoluzione che queste ultime conobbero. Chi ha più o meno la mia età ricorda la puntuale sorpresa con cui si scoprivano i nuovi LP man mano che uscivano. Fortunatamente, il film del versatile Danny Boyle (faccio fatica a credere che sia lo stesso regista di “Trainspotting”)riserva qualche altra trovata che gli evitano la trappola di una storia dall’incipit strepitoso, ma incapace di mantenere le promesse. Prima fra tutte l’idea, del tutto arbitraria ma gustosa, di cancellare dalla memoria collettiva, oltre ai Quattro di Liverpool, gli Oasis, Harry Potter, la Coca-Colale e le sigarette. A dire il vero, l’assenza delle ultime due avrebbero modificato significativamente l’economia mondiale. Passi. Buona anche l’idea di introdurre nella parte finale due anziani personaggi che, come il protagonista, hanno memoria dell’epopea beatlesiana; divertente il rimando all’ultima esibizione pubblica dei Beatles dal tetto della Apple Records, come originale mi è sembrata l’apparizione nel finale di un John Lennon ancora vivo, settantaseienne ma identico a se stesso.
Ovviamente, gli appassionati dei Beatles e del rock anni ’60 speravano in un capolavoro e questo è lungi dall’esserlo. Resta comunque godibile, fa ridere e sospirare.
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