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Serial rapist

Regia di Kôji Wakamatsu vedi scheda film

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La recensione su Serial rapist

di undying
3 stelle

Aggredire, spogliare, violentare e sparare: azioni dello "stupratore seriale" protagonista che si ripetono in maniera disordinata in sessanta minuti di pessimo cinema. Scritto, girato, interpretato e montato senza la minima cura.

 

Giappone. Un tizio sovrappeso, trasandato, armato di pistola e in movimento con una bicicletta arrugginita non perde occasione di aggredire, denudare, stuprare e uccidere donne. Casalinghe, ubriache, passanti, innamorate in libera uscita e persino una poliziotta: tutte vittime del killer intento a violentare e uccidere mentre -compiendo gli abominevoli atti tra la folla, oppure in prossimità di aeroporti e ferrovie- attorno la vita procede nella più consueta frenesia.

 

locandina

Serial rapist (1978): locandina

 

L'esperto regista nipponico di Roman porno (o Pinku eiga), Koji Wakamatsu, gira un brutto mini-film (circa un'ora di durata) nel modo peggiore possibile. E non ci si riferisce certo al contenuto, che definire triste è cosa pressoché pleonastica. Tecnicamente, Serial rapist è girato da cani, e interpretato peggio. La scelta di girare con macchina a mano e di assegnare il ruolo principale all'impacciato, quando non goffo, Tensan Umatsu si rivela a dir poco sbagliata. Così come i modestissimi effetti speciali (limitati, in un paio di casi, allo spargimento di un po' di succo di pomodoro) spingono nel pericoloso angolo della parodia involontaria il film. E non potrebbe andare da nessun'altra parte, se non nel grottesco, un prodotto così brutto e trascurato sotto ogni aspetto. La fotografia è qualcosa di meno che amatoriale, mentre della colonna sonora -senza esagerazioni- si può dire che sia la peggiore mai composta: sembra quasi che sia stata registrata dopo avere dato una chitarra, un tamburello e due stecche a un bambino di tre anni, lasciandolo libero di fare fracasso. Quanto al contenuto sleazy, che dire? Il maniaco senza nome spoglia, stupra e uccide non necessariamente nello stesso ordine; il ché significa che compie atti anche necrofili. Ma il livello di nudo si limita a qualche capezzolo, e pure il tema della "corda" -riservata alla poliziotta- non è trattato nel classico (perverso ma talvolta artistico e altrove davvero erotico) metodo del sottogenere. Statisticamente, si contano qualcosa come tredici omicidi (nove donne e quattro uomini) in sessanta minuti: un ritmo che nemmeno il Jason Voorhees di Venerdì 13, nei suoi giorni migliori, ha saputo tenere. Nonostante il frenetico, delirante (a un paio di uomini -sorpresi ad amoreggiare- spara nelle chiappe), inarrestabile e continuativo atto omicida, in nessun singolo episodio si riscontra erotismo, orrore o thriller. In virtù di quanto sin qui descritto e con l'aggravante di mettere in mano al maniaco una pistola giocattolo che mai si vede espellere un proiettile (l'effetto speciale è limitato al sonoro, ovvero al colpo dell'arma) questo Serial rapist resta un noioso, improvvisato, patetico, ingiustificabile -e soprattutto povero in tutte le accezioni possibili- tentativo di fare cassa (leggasi soldi) nella maniera più facile possibile: sex & violence, ma senza colpo ferire.

 

Curiosità 

- Il titolo originale, Jûsan-nin renzoku bôkôma (l'uomo violento che uccise tredici persone) rappresenta anche una sintesi del contenuto. In pratica, data la pochezza del film, ne è la trama stessa.

- Wakamatsu, in giovane età, ha avuto seri problemi con la giustizia in quanto affiliato della mafia giapponese, la terribile yakuza. Dopo essere uscito dal carcere inizia l'attività di regista e produttore, sino a diventare un nome di rilievo nel già citato genere del Roman porno.

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