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Day for night

Regia di Kaveh Ebrahimpour vedi scheda film

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La recensione su Day for night

di OGM
8 stelle

Quando è giorno, quando è notte. Quando è giorno e notte insieme.

Non è un semplice gioco di luce e buio. Non è la nuit américaine di gloriosa memoria. È una forma di confusione mentale: uno stato della conoscenza talmente caotico e indeterminato da sfociare naturalmente nella libertà, nell’arte, nella visionarietà creativa. È il puro onirismo, il cui tratto distintivo è la perdita di controllo da parte della razionalità, che non riesce a ritrovarvi nemmeno le sue convinzioni più basilari, perché anche le dita di una mano sono un conto che non torna, che si rifiuta di dare come risultato cinque. Il giorno e la notte sono gli opposti paradigmatici che smettono di essere punti di riferimento: il bianco e il nero si fondono nei colori dell’immaginazione senza logica. Questo cortometraggio applica tale riflessione al cinema: anche questo luogo di studio, di scelta, di culto consapevole ed attento della bellezza e della verità può, all’improvviso, sprofondare in un abisso di totale incertezza, in cui il regista è ridotto ad uno spettatore qualsiasi, sprovveduto e indifeso, in balia della storia che credeva di poter inventare. Questo scorcio di racconto fa dell’elemento fantastico l’autentica, drammatica essenza dell’autorialità: una pretesa di dominio, di innovatività, di potenza estetica che frana davanti alla incoercibile ribellione della coscienza. Un cineasta persiano incontra, per caso,  quello che ritiene possa diventare lo sfondo ideale per il suo prossimo film: una villa lussuosa, ricca di fregi pregiati, quasi una reggia. La vuole far sua, ad ogni costo, anche senza il permesso del padrone di casa. Ma la sua intrusione, in un lampo, avrà l’effetto di scalzarlo dal suo trono di sovrano del sogno, ribaltando i ruoli, schiacciandolo a terra, al livello di chi lo stupore lo subisce, risultandone costantemente intimidito. Kaveh Ebrahimpour libera la realtà dal suo involucro di apparenza, di coerenza, di logicità, che è la confezione in cui viene imballata dall’uomo a uso e consumo dei suoi simili. Non è la prima volta che succede: il suo precedente A ceremony for a friend mostrava già la stessa rivolta contro il pensiero come convenzione, come abitudine, come attività falsata, educata dall’uso sociale della parola. L’idea è che sia tutto lecito – e quindi narrabile a viva voce, interpretabile con la bocca e con i gesti – ciò che nasce non dalla ragione, bensì dal desiderio, dalla paura, dall’orrore, dalla sete di vendetta, dalla passione selvaggia. L’unica disciplina che si possa applicare è la conversione della indefinibilità dell’istinto nello schema organico di un labirinto, in cui  l’atto di perdersi, pur esprimendo il moto convulso della tragedia, è comunque, nel suo concreto sviluppo spazio-temporale, il frutto di un processo sequenziale e scientifico. Il nonsense  conosce qui la pazienza che accompagna la scoperta graduale, la costruzione per passi successivi, la continuità dei collegamenti. Può realizzarsi – come adesso -  nella descrizione di una paradossale serie di eventi, oppure – come prima – in un discorso che rifiuta le regole della morale e dell’ordine pubblico pur mantenendosi entro i canoni della dialettica civile e dell’onestà intellettuale.  Il puzzle è dunque una inedita disarmonia, composta rispettando la sintassi, con un linguaggio perfettamente comprensibile e letterariamente curato. Il contenuto, però, viene da fuori, da un altrove che si impone come antagonista della nostra innata, intramontabile illusione esistenziale: quella di poter progettare, della nostra vita, non soltanto il come, ma anche e soprattutto il cosa.    

 

scena

Day for night (2018): scena

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