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A ceremony for a friend

Regia di Kaveh Ebrahimpour vedi scheda film

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La recensione su A ceremony for a friend

di OGM
7 stelle

Gli amici lo vogliono morto. E lui è d'accordo.

Cosa scrivere sui biglietti di invito. Questo è il vero problema. La risposta è il punto nodale di tutto il discorso. Tanto da diventare il titolo della storia. Quella breve dicitura, dal tono asciutto e solenne, comparirà dunque sugli stampati da distribuire ai conoscenti. Anche Mansour è d’accordo. La sua impiccagione non potrebbe trovare presentazione più garbata e opportuna. Poi, è chiaro, dovranno essere definiti gli altri dettagli. Ma su tutto si può discutere. Le idee, si sa, vengono parlando. Un brainstorming tra amici dovrà determinare il luogo dell’esecuzione, i materiali da usare, la dinamica da seguire, la musica di accompagnamento. Ed il protagonista è ben lieto di poter dire la sua. Il confronto è perfettamente democratico, sereno ed equilibrato, ognuno ha pari diritto di esprimersi ed essere ascoltato. L’importante è seguire le regole del dibattito, e costruire pacificamente un consenso solido e articolato, che offra sicurezza e non lasci alcun margine al dubbio o, peggio, al sospetto. In un piccolo ambiente domestico, con un gruppo di giovani raccolti intorno ad un tavolo di cucina, la vendetta si veste dell’abito sobrio e lucido della ragione, della legge, della giustizia. È assurta al ruolo di principio generale, di istituto giuridico di base, del quale vanno attentamente sviluppati i corollari, calati nel caso concreto, adattati alle esigenze personali contingenti. L’emotività è bandita, come elemento di disturbo in un momento in cui sono in ballo questioni di fondamentale importanza: e non si tratta di decidere tra la vita e la morte, perché la scelta è già stata operata dagli eventi, dai presupposti inderogabili che si sottraggono alla nostra discrezionalità. Nemmeno lo stesso Mansour, il condannato, la vittima sacrificale, si oppone. Partecipa al dialogo, interviene sull’organizzazione del servizio catering, rivolge domande, formula proposte. Il contenuto del colloquio è svuotato, di fatto, della sua sostanza drammatica: il dilemma non si pone, il se è fuori dalla portata dell’uomo, a cui spetta solo stabilire i tempi e i modi. Al cuore pulsante della lotta interiore si sostituisce la superficie increspata delle sfumature psicologiche: una serie di brividi a fior di pelle che fanno il verso al dolore, all’odio, alla paura, riproducendone un’impronta lieve e beffarda, ma in una forma del tutto rispettosa delle regole del ben pensare. Questo è il compito che ci tocca: mettere in riga i pezzi che ci vengono offerti, anche contro la nostra volontà. Si tratta di tradurre il caso in un testo dalla struttura compiuta e dallo sviluppo trasparente, secondo la nostra sensibilità nei confronti del reale. Su quest’ultimo non abbiamo alcun potere. Lo possiamo solo trascrivere, in bella copia, senza con ciò falsarne la diabolica essenza. 

 

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