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Bird Box

Regia di Susanne Bier vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Bird Box

di mck
6 stelle

Il mondo come carcere, l'hortus conclusus di un oratorio come agorà aperta al futuro. Però il film non riesce, non ce la fa: a fare cosa? E chi lo sa. Se ce l'avesse fatta lo sapremmo.

 

 

Le sei scimmiette.
1. “the Silence” (2019), la versione instant-movie low-fi (arco e frecce) asylum reduct di “A Quiet Place” (2018) di John Krasinski.
2. “Bird Box” (2018), la versione hi-fi inversa di “Blink” (2007) di Steven Moffat, il 10° ep. della 3a stag. (nuova serie, decima rigenerazione) di “Doctor Who”, o quella "action" del capolavoro shyamalaniano "the Happening", e del quasi superfluo, ma comunque più discreto che mediocre, "BlindNess" di F.Meirelles (da J.Saramago), entrambi del 2008.
3. “the Tribe” (2014), la versione ucraina hard complementare a quella friulana soft di “l'Estate di Giacomo” (2011) di Alessandro Comodin (lista "completa"). 

 


“Sei una cattiva madre”, si dice. […] “Stai salvando la loro vita per una vita che non vale la pena di vivere”.
Josh Malerman - “Bird Box” - 2014 (trad. di S.Bortolussi)   

 


Bird Box”, diretto da Susanne Bier [un persistente abbaglio critico - molto più Liliana Cavani e Cinzia TH Torrini, o Sally Potter e Patricia Rozema, che Jane Campion, insomma - e un'ad ogni modo valente artigiana, qui impegnata a destreggiarsi col fuori campo (che a volte assume le sembianze - scarabocchi di Mark “Crash” McCreery - di paure archetipiche/mitopoietiche – amore declinato attraverso la perdita veicolata da melancolia, nostalgia, rimpianto e rimorso: i cari defunti – e altre semplicemente sfrutta l'immanente necessario dell'affetto utilizzando bodysnatcher truccati da speranza: i cari ancora vivi), shyamalaniano: impresa ardua, e persa in partenza (anche perché alla fine Shyamalan mostra, sempre, tutto: alieni umanoidi, maschere animali, vento ricco di microgametofiti), pur riuscendo col portare a casa qualche bella ripresa, scena, sequenza] e scritto (traendolo - con non so quali diversità e quante differenziazioni - dal romanzo d'esordio - pubblicato in Italia per i tipi di Piemme - dello scrittore e rocker Josh Malerman, il quale ha annunciato da poco di avergli dato un seguito) da Eric Heisserer [sceneggiatore del reboot di “A Nightmare on Elm Street”, del 5° capitolo di “Final Destination”, del prequel di “the Thing”, poi anche alla regìa per “Hours”, sembrava dovesse uscire di scena spegnendo le luci con “Lights Out”, e invece, toh, ecco che riesce a non fare danni traslando Ted Chiang per Denis Villeneuve, e infine, “in attesa” (???) di “BloodShot”, eccolo qui con “Bird Box”: qualcuno lo fermi], procede come tutti i (pre/during/post) family apocalyptic-survival movie che si rispettino (accezione di genere - a prescindere dalla presenza o dall'assenza di lieto fine -, non di qualità filmica, tra quelli cui ho assistito nell'ultimo lustro: “InTo the Forest”, “the Survivalist”, “It Comes at Night”, “les Affamés”, “A Quiet Place”, “the Silence”), ovvero - con le dovute eterogeneità disposte - con un poco prima del principio, un durante e un poco prima dell'oltre.

 

 

Sandra Bullock, leggermente fuori controllo, si muove sulla via di mezzo fra le insopportabili tipizzazioni (qui all'inverso: stesso overacting, ma pizzicando corde altre) delle “sue” commedie (più o meno romantiche: J.Turteltaub, G.Dunne, D,Petri) e romanzoni (R.Attenborough) e dei giocattoloni spy/action seriosi (I.Winkler, J.Schumacher) e fracassoni (Jan de Bont), e quelle invece buone (P.Bogdanovich, B.Schroeder, J.L.Hancock, D.G.Green, G.Ross) e ottime di “Crash”, “Infamous” e “Gravity”).

 


A John Malkovich che je voi di', potrebbe pure leggere il calcolo del modello ISEE necessario per avere il Reddido di Giddadinanza (sito tanto utile e ovviamente già imvho inopinatamente sottoposto a sequestro preventivo) e staresti lì ad ascoltarlo (e poi - spoiler - c'ha anche ragione...). 

 


Piccola parte per Sarah Paulson (tralasciando i vari bolsi e inutilmente rigonfi “American Horror Story”, indimenticabile co-prot. in “Studio 60 on the SunSet Strip” e ottima caratterista in “Martha Marcy May Marlene”, “Carol”, “Glass”).

 


Chiudono il cast: Trevante Rhodes (“MoonLight”), molto bravo, coerente e adatto, Tom Hollander (bravissimo, anche se il suo ruolo - al contrario di quelli messi in scena per “Gosford Park”, “the Night Manager”, “Taboo” e “Baptiste” - poteva essere “mimetizzato” meglio), Lil Rel Howery (nei panni di un personaggio consimilare, ma dagli esiti divergenti, a quello interpretato in “Get Out”), Pruitt Taylor Vince (un cameo, ma come sempre con quest'attore caratterista - dalla carriera sterminata e costellata di ruoli di supporto tra i quali voglio ricordare quelli in “DeadWood” e “In the Electric Mist” -, incisivo), Parminder Nagra (piacevole ritrovarla: n'è passata di acqua sotto i ponti dai tempi di “E.R.”). E ancora: Jacki Weaver, Danielle Macdonald, Rosa Salazar (“Alita”), Machine Gun Kelly, BD Wong, e un cameo per la mametiana consorte Rebecca Pidgeon... E infine menzione speciale per i piccoli Julian Edwards e soprattutto Vivien Lyra Blair, i cui nomi di battesimo sono - per il momento (periodo che dura da un lustro...) - Bambino e Bambina.

 


Fotografia di Salvatore Totino [uomo di fiducia di Ron Howard, tanto per le scempiaggini quanto per i film discreti/buoni (the Missing, Frost/Nixon e, ma in quel caso subalterno ad Anthony Dod Mantle, “In the Hearth of the Sea”), oltre che collaboratore una tantum di Oliver Stone, Baltasar Kormákur e David Ayer e, sul fronte videoclip, con più assidua frequenza, di Peter Care (R.E.M., Springsteen, SoundGarden) e Jake Scott (Tom Petty, U2, RadioHead)]. Montaggio di Ben Lester (“Utopia”, “BroadChurch”, “the Night Manager”, “Black Mirror: Men Against Fire”, “PKD's Electric Dreams”). Musiche dei davidfincher-nineinchnailsiani Trent Reznor e Atticus Ross (“the Social NetWork”, “the Girl with the Draon Tattoo”, “Gone Girl”, “BlackHat”, “Mid90s”).

 


Il mondo come carcere, l'hortus conclusus di un oratorio come agorà aperta al futuro.
Però come “A Quiet Place” e “the Silence”, è un film che non riesce, non ce la fa: a fare cosa? E chi lo sa. Se ce l'avesse fatta lo sapremmo.

Non trascurabile (ché in fondo è solo la morale e il messaggio del film) il portato, per quanto retorico, delle dinamiche di maternità.

Ricollegandosi a un libro d'arte dedicato a Giovanni Battista Piranesi (1720-1778) sfogliato da Malorie, il finale ci conduce nella magnificenza della rovina di un Carcere d'Invenzione (incisioni ispiratrici di Escher), ovvero un istituto scolastico per ciechi, lungo il corso del fiume, dopo le rapide, riadattato aperto/chiuso ad uso Comune per la Nuova Polis [una Costruzione (Im)Possibile].

 


Nota a margine. Uno dei pochi/primi film/serie/stand-up di cui Netflix ha reso noti i dati “auditel” relativi al “Box Office dello Streaming”: più di 40.000.000 di singole visualizzazioni (per account) durante la prima settimana dal rilascio (salite a 80.000.000 nel primo mese). E te credo che li ha resi noti...

* * ¾ - 5½      

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