Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film
Papà Kim: "Sono ricchi ma anche gentili"
Mamma Kim: "Sono gentili perché sono ricchi"
Parasite rappresenta l’ultima fatica del regista sudcoreano Bong Joon-ho, famoso in occidente grazie alle sue pellicole hollywoodiane Snowpiercer e Okja, che lo hanno introdotto nel panorama del Cinema internazionale soprattutto per la sua spiccata critica sociale, ormai diventata un tratto distintivo della sua breve ma interessante filmografia.
Ritornato in madrepatria, il regista orientale decide un’altra volta di creare un’opera cinematografica di rara e indiscutibile potenza drammaturgica per veicolare l’ennesima critica sociale alla nostra contemporaneità, ricevendo plausi e premi internazionali che gli conferiscono infine la Palma d’oro al Festival di Cannes.
La mia curiosità nei confronti dell’ultimo lungometraggio del giovane cineasta coreano non era però totalmente polarizzata dalle lodi della critica internazionale, ma dal soggetto stesso della pellicola e dai precedenti film statunitensi diretti dal regista, che mi avevano colpito per la loro originalità nello sfruttare il genere distopico-fantascientifico per criticare il classismo e il neoliberismo imperante che affliggono il nostro mondo.
Temprato dalle sue esperienze all’estero ed ormai esperto nell’analizzare la fibra antropologica del suo paese, Bong Joon-ho stavolta decide di unire più generi cinematografici per veicolare la sua poetica, unendo la commedia, il dramma e il thriller per tratteggiare in modo dissacrante e grottesco l’enorme disparità di ricchezza presente in Corea del Sud.
La trama racconta le vicende della famiglia povera dei Kim composta dal padre Ki-taek, dalla madre Chung-sook, dal figlio Ki-woo e dalla figlia Ki-jeong. Il nucleo familiare è costretto a vivere in un seminterrato per via della situazione precaria in cui si ritrova, dovendo dipendere dal sussidio di disoccupazione dei genitori e dai lavori su commissione sottopagati offerti dalle piccole aziende del loro quartiere.
La svolta a questa situazione disagiata avviene quando il figlio Ki-woo incontra il suo amico ricco universitario, che gli da la possibilità di sostituirlo come insegnante di ripetizione di inglese ad una figlia di una famiglia ricchissima, i Park.
Falsificando le sue competenze e la sua identità, Ki-woo si reca nella grandissima villa della famiglia alto borghese venendo accolto dalla signora Park, che colpita dalla disciplina e dalle abilità linguistiche del ragazzo, si convince ad assumerlo regolarmente come insegnante d’inglese di sua figlia Da-hye. Ki-woo, colpito dall’ingenuità della madre e dai disegni del figlio piccolo, convince la prima ad assumere sua sorella, costruendole una falsa identità come famosa laureata in una prestigiosa Università d’Arte di Chicago.
Una volta accolta nella reggia dei Kim, anche Ki-jeong comincia ad attirare le attenzioni della signora Park, spacciandosi come “art therapist” in grado di curare i traumi infantili di suo figlio Da-song. Conquistata la fiducia di Yeon-gyo, la scaltra figlia Kim escogita un piano machiavellico per far scacciare l’autista dei Park, in modo da sostituire quest’ultimo con suo padre.
Inserito come esperto e cordiale autista, Ki-taek insieme ai suoi figli escogita un ultimo piano per scacciare la governante dei Park, in modo da spianare la strada per l’inserimento dell’ultimo membro del nucleo familiare, ovvero la moglie Chung-sook. Dopo la riuscita del piano della famiglia Kim, tutta la concatenazione di passaparola e raccomandazioni li porta come dei parassiti ad instaurare una presa di potere nella vita della ricca famiglia Park, che attraverso l’arte della menzogna e della recitazione, trovano finalmente pace e benessere nella loro nuova e spaziosa abitazione.
Tutto sembra andare secondo i piani della scaltra e bugiarda famiglia Kim, quando a sovvertire lo status quo è una citofonata della ex governante dei Park, che chiede a tutti costi di poter entrare nella villa per riprendersi i suoi ultimi effetti personali lasciati in cantina. La famiglia Kim, inizialmente riluttante, decide alla fine di consentire alla povera donna di entrare nell’abitazione. Quest’ultimo gesto però, porterà a scoperchiare un vaso di Pandora inimmaginabile per tutti i personaggi della pellicola, che si ritroveranno inevitabilmente sommersi dalla violenza e dalla brutalità del parassitismo societario.
La genialità di Parasite passa indubbiamente dalla talentuosa messa in scena di Bong Joon-ho, che attraverso un mix di generi sapientemente calibrati nei tre atti riesce magnificamente a rappresentare l’eterna lotta di classe che il genere umano da sempre ha affrontato, andando oltre il classico cliché del povero buono ed intelligente e del ricco cattivo e stupido.
La critica sociale che permea nella totalità del film infatti, offre una disamina incredibilmente veritiera sulla disuguaglianza di reddito presente in Corea del Sud ed esemplifica tutte le possibili conseguenze comportamentali che produce negli individui che vivono in una tale condizione diseguale. Mostrando così tutti i pregi e difetti di tutti i personaggi presenti nel film, dove sia nella famiglia Kim che nella famiglia Park permea una sorta di parassitismo simbiotico irrinunciabile che è il motore fondante del capitalismo.
Il film infatti parte inizialmente come una normale commedia sulle differenze tra ricchi e poveri, dove si assiste da parte di quest’ultimi una notevole capacità recitativa nel falsificare le proprie competenze e presentarsi come dei perfetti professionisti capaci nel proprio mestiere.
La riuscita della concatenazione di eventi che porterà inevitabilmente i Kim ad imbrogliare e dunque ad infiltrarsi nel nucleo familiare dei Park, è data principalmente dalla forza della collettività familiare, che sfruttando la superficialità e la stupidità della famiglia ricca, riesce non solo a guadagnarsi una paga dignitosa mai vista prima d’ora, ma anche ad instaurare una vera presa di potere nell’enorme abitazione della famiglia Park.
La grande spazialità della villa viene dunque conquistata meticolosamente dai parassiti costretti ad usare ogni singolo spazio del loro angusto seminterrato, e ciò dimostra come i poveri siano perennemente costretti ad utilizzare la loro incredibile capacità di adattamento per sfruttare al meglio ogni singola occasione offertagli dalla realtà che li circonda. L’intelligenza e la scaltrezza li rende dunque degli individui furbi ed affamati del benessere altrui, proprio come la natura dei parassiti che sono costantemente in ricerca di un corpo per nutrire il loro fabbisogno energetico.
Un drenaggio di risorse che i Park sono disposti ad accettare, in quanto vedono nei loro lavoratori soltanto una mera risorsa per soddisfare il loro fabbisogno personale, non curandosi quindi di approfondire la liquidazione dei loro dipendenti, allontanandoli con false motivazioni per salvare il prestigio familiare, tipico della cultura orientale.
La superficialità e l’indifferenza della famiglia Park viene ulteriormente evidenziata soprattutto dall’importanza data dal denaro come unica soluzione per risolvere i problemi dei loro figli, affidando così quest’ultimi alla professionalità di esterni, senza affrontare veramente di persona la profondità dei rapporti umani. La totale fiducia nella catena di raccomandazioni dei Kim e nei prodotti esteri è sinonimo di una lacuna psicologica che la famiglia Kim sfrutta sapientemente, perché consci della natura delle persone in quanto immersi costantemente nella quotidianità e non alienati dalla realtà come la maggior parte delle classi agiate.
La prevaricazione che se ne esce dal primo atto è dunque una folle e dissacrante avventura comica che esplora egregiamente tutte le differenze tra le due famiglie, che fa empatizzare completamente il pubblico con l’intelligenza della povera famiglia Kim in opposizione all’ingenuità della riccastra famiglia Park.
Il divertimento e le grasse risate sia della famiglia Kim sia quella del pubblico vengono smorzate però da un plot twist inaspettato che è degno di un thriller alla Hitchcock, che infatti Bong Joon-ho lo riprende nella costruzione dell’incredibile suspance, sacrificando la commedia per dare spazio al dramma sociale, mettendo in dubbio la moralità dei Kim e dunque dello spettatore che aveva tifato per tutto il tempo per loro.
L’inaspettata visita notturna della ex governante cacciata settimane prima, stravolge tutte le certezze e la presa di potere dei Kim sull’abitazione dei Park, dove scoprono che all’interno di quest’ultima vive un altro nido parassitario nel bunker segreto progettato dal prestigioso architetto della villa. La governante infatti ci teneva in segreto suo marito dandogli cibo e acqua grazie allo stipendio guadagnato dai Park, che una volta scoperto il complotto orchestrato ai suoi danni, decide di minacciare la famiglia Kim inviando un loro video in cui si smascherano ingenuamente, ricattando e mettendo dunque in discussione tutto l’ingegnoso strumento di copertura creato all’inizio del film.
Un ricatto violento e giusto che porta inevitabilmente allo scontro sia psicologico che fisico tra i due nuclei familiari poveri, che riflette perfettamente la condizione sociale a cui sono sottoposti i ceti medio-bassi oggigiorno, che pur di tutelare il loro microscopico benessere conquistato con sudore e fatica, decidono di scontrarsi a vicenda piuttosto che affrontare insieme le disparità che li affliggono. Una guerra fra poveri che non fa che legittimare il benessere dei ricchi, che ignari o indifferenti alle difficoltà dalle classi considerate da loro più abbiette, non si interrogano minimamente sulla complessità di un sistema diseguale e colluso.
Il sistema a scatole cinesi simile ad una matrioska instaurato all’insaputa dei Park, è destinato quindi a collassare su sé stesso, infatti una volta ristabilita l’autorità invisibile della famiglia Kim, porta alla ex governante e a suo marito a decadere del loro status sia sociale che umano nelle viscere della Terra, ovvero il freddo e sporco bunker segreto sigillato nella cantina.
La dubbia moralità dei Kim esplica perfettamente la dura realtà che i più poveri devono sopportare, dove la loro natura più infame e violenta deve emergere pur di sopravvivere in un mondo crudele ed ingiusto come quello capitalista di stampo neoliberista.
Il marcio sotto il tappeto e gli scheletri nell’armadio non sono però l’unica prerogativa dei poveri, infatti gli stessi genitori Park dimostrano come nonostante vogliano apparire gentili, profumati e perbenisti, in realtà non siano altro che dei bugiardi e volgari; in particolare quando criticano l’odore del signor Kim mentre da vestiti si scambiano effusioni erotiche fantasticando sulle mutandine lasciate dalla figlia dei Kim e sulla possibile droga lasciata sui sedili posteriori della loro stessa auto.
Una differenza invisibile che i ricchi da sempre intendono mantenere con i poveri, in modo da minimizzare i rapporti con quest’ultimi per rimarcare la loro presunta superiorità sociale e morale.
La crescente ma invisibile tensione dei Kim costretti a nascondersi come scarafaggi dai Park e la disperazione del marito della governante che vede sua moglie morire, porta al climax finale della pellicola intrisa ormai da tinte horror e splatter, dove tutta la frustrazione e la violenza delle classi più povere si riversa sulla celestiale e artificiosa vita dei ricchi, che porta tragicamente la morte in entrambi i fronti.
Il sangue, l’odore, la sporcizia, l’arma, la rabbia, l’ipocrisia, la tristezza e l’irrazionalità vengono finalmente allo scoperto alla luce del sole, dove il dramma sociale si consuma proprio davanti agli occhi di coloro che temono o vogliono nascondere tali sensazioni e stati d’animo. La lotta di classe che emerge dirompente nella sua più completa e barbara manifestazione, mettendo in luce come un’insofferente malessere sociale prima o poi si riverserà nelle case e nelle strade di tutti noi.
Bong Joon-ho riesce incredibilmente attraverso una commistione di generi a far ridere, sorprendere, criticare ed infine riflettere il suo pubblico. Attraverso una regia sublime nel rappresentare il potere degli spazi casalinghi e della dolorosa verticalità che contraddistingue la divisione fra ricchi e poveri, analizza in tutti i suoi aspetti la natura umana, che divisa da un sistema che privilegia il classismo costringendo i più poveri a prevaricare sul prossimo sognando la vita dei ricchi, genera soltanto violenza, disparità e una concatenazione di eventi tragici che forse mai si fermerà.
Parasite è un film orientale che comunica perfettamente con la nostra contemporaneità, sottolineando tutti gli aspetti universali che contraddistinguono l’uomo moderno, facendo riflettere sia su un possibile futuro artistico che potrebbe intraprendere la Settima Arte nel campo della critica sociale sia sul nostro mondo ormai plasmato dalla New Economy, così innovativa ed avanzata nelle sue tecnologie, così profondamente distruttiva sul piano sociale, culturale ed individuale.
Vedere quest’opera magistrale del giovane cineasta Bong Joon-ho, mi ha invogliato a recuperare le sue pellicole coreane e a riscoprire tutte le gemme del Cinema orientale che hanno molto da insegnare al nostro contemporaneo cinema occidentale, soprattutto quando un regista sudcoreano cita una canzone di Gianni Morandi per enfatizzare un momento drammaturgico con un taglio di montaggio semplicemente magistrale nella sua potenza visiva e narrativa.
Saremo costretti a varcare la soglia dell’integrità morale per un benessere più grande o saremo capaci di sederci ad un tavolo pacificamente per pianificare un futuro più roseo ed equo?
Parasite ci pone la domanda. Toccherà a noi rispondere. Sempre se ne avremo voglia.
Voto: 10
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