Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film
Parasite è un film sudcoreano del 2019, diretto da Bong Joon-ho.
Sinossi: I Park vivono alla giornata arrangiandosi con lavoretti occasionali ed il sussidio di disoccupazione del padre Kim Ki-taek (Song Kang-ho).
Un giorno Ki-woo, il figlio più giovane, ha l’opportunità di lavorare in veste di tutor d’inglese presso la ricchissima famiglia Park; non contento, con l’astuzia e l’inganno riuscirà a far assumere tutti i suoi famigliari tuttavia il piano non andrà a buon fine…
Il nome di Bong Joon-ho dopo la vittoria delle quattro statuette rilasciate dall’Academy Award (a cui si aggiungono un numero clamoroso di premi, vinti in precedenza, compresa l’ambita Palma d’oro) è balzato improvvisamente sulla bocca di tutti e fin qui va tutto bene; detto questo è fondamentale sottolineare l’importanza dell’autore, il quale dispensa perle cinematografiche da almeno quindi anni e soprattutto non è il solo. Come ho più volte scritto su questo portale, il cinema coreano a partire dalla fine degli anni Novanta è entrato di prepotenza in una nuova età dell’oro, presentando tantissimi registi autorevoli.
Inoltre è subito doveroso effettuare una seconda precisazione, visto che non tutti conoscono bene il buon vecchio Bong. Parasite propone una serie di tematiche e situazioni davvero pregiate in grado di suscitare lo stupore dello spettatore ma – e lo vedremo a breve- sono elementi preesistenti nella personalissima poetica del regista, messi in scena già a partire dai suoi primi cortometraggi.
Parasite conferma ancora una volta le potenzialità infinite del cinema di genere, soprattutto quando gestito e diretto da mani sapiente come quelle di Bong Joon-ho.
L’autore coreano da sempre ama inserirsi in generi consolidati scardinandone le basi e proponendo personali riflessioni che riguardano la sua società (Memorie di un assassino insegna) e questo film non fa assolutamente eccezione.
L’obiettivo primario è evidenziare le enormi differenze tra la nuova classe borghese e quella proletaria che fatica e non poco ad arrivare a fine mese, inoltre partendo da questa precisa linea guida il regista riesce a formulare svariate considerazioni arrivando addirittura ad evidenziare l’ancora presente paura verso la Corea del Nord il tutto gestito e messo in scena con incredibile maestria.
Sviscerando con attenzione l’opera notiamo una serie di elementi “secondari” in realtà determinanti. Partiamo dalla problematica del “sotterraneo”, costante fondamentale nel cinema del regista.
Bong Joon-ho sembra quasi dirci che in Corea i problemi sociali riguardante i più deboli non vengono minimamente affrontati dalla classe politica che preferisce isolarli “sottoterra”.
I Kim vivono appunto in un misero seminterrato oppure impossibile non evidenziare l’oscuro segreto presente nella villa dei Park.
Questo aspetto ha davvero colpito molto il pubblico occidentale, tuttavia il regista continua ad esporlo da svariati anni e vi cito ad esempio il suo primo lungometraggio Barking Dogs Never Bite del 2000 dove un senzatetto vive negli scantinati di un edificio oppure il guardiano della stessa struttura si rifugia nelle cantine a cucinare carcasse di cani poiché è povero in canna e si arrangia come può.
Soffermandoci ancora sull’impatto dell’opera verso gli spettatori neofiti, tanti si sono sorpresi dalla rappresentazione per un certo degrado urbano nelle zone periferiche e nello specifico mi riferisco ai due ubriachi che urinano con nonchalance vicino l’abitazione dei Kim; situazione proposta addirittura nel suo cortometraggio Incoherence del 1994, e non si trattava di semplice urina.
Cruciale altresì l’attacco del regista al sistema capitalista (scusate la monotonia, ma ancora una volta è un tema evidenziato in passato dall’autore) e chi detiene il “ capitale” crede di essere una sorta di divinità terrena; il signor Park siccome paga profumatamente Kim Ki-taek, pretende da lui dedizione assoluta costringendolo a situazioni davvero umilianti (farsi prendere a frecciate dal ragazzino).
Concludendo questa parte di analisi, tutti hanno apprezzato il continuo cambiamento ed avvicendamento di generi, dalla black-comedy passando per il thriller fino allo slasher-horror; costante pressocchè presente in tutta la cinematografia coreana contemporanea (in passato esclusiva del cinema di Hong Kong).
In Parasite è fondamentale anche la “detection”, excursus tematico carissimo al regista.
Nel film tutta la famiglia Kim proverà a scoprire ogni minimo segreto della famiglia Park, interessante a proposito la scena in cui Ki-woo legge il diario privato di Park Da-hye.
Indagine attuata frettolosamente ed in malo modo pure dai Park che almeno inizialmente vorrebbero scoprire informazioni aggiuntive su chi stanno assumendo, fallendo miseramente. Infine pensiamo alla polizia che non riesce a ritrovare Kim Ki-taek; la critica all’inettitudine delle forze dell’ordine è un'altra costante del regista coreano, presente tra l’altro in tanto cinema asiatico.
Riguardo la regia, Bong Joon-ho gioca perfettamente con tutti i codici del linguaggio filmico e sono tante le sequenze che meriterebbero attenzione.
All’inizio tramite suggestivi movimenti di macchina in piano sequenza, oppure dettagli e campi medi evocativi, irrompe nella casa dei Kim enfatizzando lo sfacelo dell’ambientazione.
Volendo comunque soffermarci su singole sequenze, rispolvero un segmento assai particolare: i coniugi Park sono a letto nel loro splendido divano atti a dedicarsi ai piaceri della carne tuttavia a pochi metri da loro, sotto il mobile, nascosti come ladri troviamo tre membri della famiglia Kim costretti ad osservare o meglio sentire in assoluto silenzio lo “spettacolo”.
In questa scena la regia è sofisticata e soprattutto indicativa con l’obiettivo di sottolineare la condizione di oppressione dei Park e nel dettaglio Bong Joon-ho opta per un’inquadratura a piombo unita ad una carrellata laterale.
Ricollegandoci invece alla questione dello sguardo/indagine sociale impossibile non citare l’agghiacciante scena dell’alluvione e qui il regista probabilmente rievoca il recente cataclisma del 2011, quando una pioggia torrenziale colpì Seul provocando 19 morti.
Infine intrigante il finale sospeso, arricchito da un inserto onirico e seguito dall’accettazione della dura realtà.
Film notevole; sicuramente non sarà un capolavorone assoluto comunque possiamo consideralo una sorta di summa altamente pregevole di tutto il cinema di Bong Joon-ho.
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