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Parasite

Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Parasite

di YellowBastard
8 stelle

Tutto ha inizio in terra di Francia con la vittoria della Palma d’oro di miglior film al Festival di Cannes del 2019 e prosegue, di successo in successo, fino alla storica vittoria di quattro premi Oscar in questo 2020 come Miglior Film (prima pellicola non in lingua inglese a prendersi la statuetta più importante), miglior regia, miglior sceneggiatura originale e miglior film internazionale (nuova nominazione del vecchio premio al miglior film straniero).

Successo meritato?

 

Risultato immagini per parasite

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Parasite sotto diversi aspetti è un film clamoroso, indipendentemente poi dalla scia di successi che ha raccolto praticamente in tutto il mondo.

Film grottesco (come d’altronde una buona parte del cinema coreano) ma anche astuto, divertente e inquietante quasi allo stesso tempo, ed è anche un film metaforico e riflessione estremamente cinica e coerente, a suo modo, sugli enormi problemi sociali e di classe presenti nella Corea del Sud e non solo, da cui la natura internazionale che ne ha favorito l’immedesimazione e quindi il coinvolgimento in buona parte del pianeta.

 

Inoltre la pellciola di Bong Joon-ho è un’opera decisamente solida, coesa e compiuta, estremamente ricercata sia visivamente che narrativamente ma mai gratuita o fine a se stessa, sempre al servizio della storia, e con una cura e una ricerca della messa in scena dal grande impatto, sorprendente per costruzione e composizione, e che spazia dalla commedia al dramma, dal triller all’horror con estrema consapevolezza in una continua e vertiginosa progressione che, lentamente, scivola inesorabilmente nella tragedia.

 

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Il messaggio del regista sud-coreano è piuttosto chiaro, incrociando le storie di due famiglie agli antipodi, quella miserabile per estrazione sociale della famiglia Ki-Taek e la ricchissima famiglia Park, Bong tocca decisamente un nervo scoperto della società occidentale che vive una situazione di infelicità diffusa anche grazie a un’insostenibile ingiustizia sociale, dove i ricchi diventano sempre più ricchi e i molti poveri sempre più poveri, dove manca una vera coscienza di classe e all’orizzonte non si riesce a vedere alcuna alternativa se non attraverso soluzioni estreme.

 

Ma il film è anche una pietra tombale sul Marxismo e su altre ideologie ispirate ad esso.

Perchè le classi cosiddette inferiori, operaie o meno che siano, in realtà non hanno alcuna intenzione di distruggere il “sistema” o, almeno, di trasformarlo in qualcosa di più equo, per il bene di tutti, ma aspirano invece a prendere semplicemente il posto di chi è sopra di loro, come profetizzato dal nostro Pasolini già negli anni 70, imitandone anche i modi, gli usi e i costumi, sostituendosi in toto a loro ma continuando a perpetrare quanto da loro fatto precedentemente, senza interessarsi di chi invece rimane indietro.

I ricchi quindi non perdono il vizio di essere ancora più ricchi, i poveri ambiscono ad essere i nuovi ricchi e, nel farlo, muovono guerra agli altri ancora più poveri.

Per dirla in una lingua morta: “Homo homini lupus”.

 

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La rivoluzione sociale o di classe in realtà non può esistere semplicemente perchè nell’uomo a vincere è sempre e comunque l’individualismo e perchè il dialogo tra classi è in realtà impossibile a meno di trasformarsi in una reiterazione senza fine degli stessi stereotipi o in un conflitto che non lascia però nè vincitori nè vinti.

Non esiste e non esisterà mai la solidarietà tra uomini, sociale o di classe che sia, se non tra clan estremamente ristretti e chiusi, come ad esempio quella formata da legami familiari, e anche in questo caso è funzionale solo fino a un certo punto.

E’ quindi inevitabile, per Bong, una drastica e sostanziale accettazione dell’ineluttabilità della propria situazione, per quanto iniqua possa essere, perchè la scalata sociale ed economica avrà sempre come risultato la rovina o l’insuccesso, trasformandosi nel caso anche in un vero e proprio incubo, perchè è nella natura dell’uomo, per quanto preparato e intenzionato a non superare il “limite” ad un certo punto superarerà “quel” limite.

 

Ecco perchè il finale è così tragico nella sua spietatezza, l’unico modo per non superare il limite, rovinando se stesso e gli altri, e l’accettazione rasegnata dello status mascherato però dall’illusione (non dalla speranza, non c’è speranza per nessuno nel film di Bong) che domani sia un giorno migliore di oggi.

Ma per se stessi, non per gli altri.

 

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La rappresentazione classista della sociatà è quindi piramidale, quasi dantesca, tra chi vive sopra, alla luce del sole (i ricchi), e chi vive sotto (i poveri), nell’ombra, e che riprende diverse analogie con le opere di Jordan Peele, soprattutto con l’ultimo Us diviso comè tra il mondo perbenista e opulento di sopra e quello segregato, dimenticato di sotto, seppur con enormi differenti sul piano strutturale e narrative dettate dalle differenti sensibilità.

Rappresentazione che si ripropone anche all’interno dell’abitazione stessa, protagonista della pellicola quanto e più degli stessi attori, tutti ottimamente in parte e su cui spicca, manco a dirlo, Kang-ho Song, il più grande attore coreano del momento, e capace anche nella sua parsimoniosa interpretazione di comunicare tutta una gamma di emozioni con il minimo impatto scenico. 

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