Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film
Mi pare che Bong Joon-ho ci abbia detto, con questa sua ultima fatica, che è ora di reagire, prima che la tragedia, non solo ambientale, ci travolga definitivamente, senza scampo per nessuno.
Bong Joon-ho è tornato a girare nel Sud della Corea e ha presentato questo amarissimo film a Cannes, dove ha vinto la Palma d’oro nel maggio di quest’anno.
Quest’ultimo suo lavoro ha fatto molto discutere e ha diviso critica e pubblico, come sempre accade quando l’invenzione cinematografica propone situazioni e immagini che ci disturbano e ci angosciano, come in questo caso in cui anche a noi occidentali il regista indirizza l’invito a rispondere con urgenza alle angosce degli altri abitanti del pianeta per i quali costumi e tradizioni da secoli consolidati sono stati spazzati via nel giro di pochissimi anni dal rapido affermarsi del libero mercato e della tecnologia.
I comportamenti umani sembrano ovunque dominati dalla perversa convinzione reazionaria, diventata purtroppo anche comune sentire, che il mondo dell’ingiustizia e del degrado in cui viviamo non sia che la conseguenza inevitabile della condizione “naturale” dell’umanità e che, perciò questo mondo ingiusto sia anche l’unico possibile.
Questo si pensa anche all’interno delle due famiglie protagoniste del film: quella dei Ki che vivono a Seul nella più nera miseria e quella dei Park, i più ricchi della città, che emblematicamente rappresentano la tragi-commedia universale dei nostri giorni: null’altro li accomuna se non la fede condivisa nel denaro e nel capitalismo che, permettendone l’accumulo, rende più facile la vita e più semplice la risoluzione di ogni problema.
I Ki e i Park
I primi vivono nella zona più degradata della della capitale sud-coreana, in fondo a una strada in discesa, sbarrata dalla loro casa, che abitano in quattro. Il poco denaro che riescono a guadagnare, piegando il cartone per il trasporto delle pizze, non basta a saldare completamente i loro debiti, ma serve a mala pena per non morire di fame. Di lì, nessuno di loro esce volentieri: gli altri non devono conoscere la loro povertà vergognosa, socialmente interdetta.
Dall’isolamento li salva lo smartphone, uno a testa per tenersi aggiornati sulle cose del mondo. È ben vero che non sempre è facile connettersi, soprattutto se le bollette telefoniche non si sono pagate… in questo caso non resta che affollarsi attorno al W.C., dove il segnale arriva.
La casa riceve un po’ di luce da una finestrella in alto, che dà sulla strada; troppo spesso, però, nelle vicinanze, qualcuno in cerca di privacy se ne arriva per far pipì, ciò che rende oltremodo sgradevole quell’abitare, simile al vivere oscuro degli insetti parassiti che sbucano da ogni lato e manifestano, con la loro presenza, il degrado dell’intera famiglia dei Ki, che si affannano, con qualche successo, a cancellarne le tracce.
Della loro condizione, però, tutti loro si portano addosso un segno che non si può nascondere: l’odore, schifoso e insopportabile, almeno a sentire le parole dei ricchissimi Park, nella cui dimora lussuosa, per effetto di una quasi miracolosa raccomandazione, era stato dapprima accolto, come ripetitore di lingua inglese, il figlio, seguito quasi subito dalla sorella, che, sotto le mentite spoglie di una conoscenza lontana, si sarebbe dedicata ai disegni del piccolo di casa; qualche tempo dopo entrambi i genitori, senza tradire alcuna parentela, li avrebbero seguiti.
Il profondo mutare della loro vita, le ricchezze che cominciavano ad affluire nelle loro tasche, la convinzione di trovarsi ormai fuori dalla deriva sociale, a cui sembravano destinati, non erano stati però sufficienti a cancellare quell’odore di miseria che li rendeva diversi dai loro padroni riconoscibili alla finezza dell’olfatto di Mister Park che l’aveva definito schifoso, ma sensualissimo ed eccitante…
I Park ora non avrebbero potuto fare a meno di loro, ognuno dei quali, in modo diverso, era diventato indispensabile all’organizzazione perfetta della lussuosa abitazione e della famiglia: la madre era l’insostituibile addetta alla gestione della casa, mentre il padre era l’autista di fiducia, sempre disponibile.
Il loro ingresso nella bellissima dimora di vetro dei padroni era stato sottilmente intelligente e non violento: senza rivendicazioni, senza sindacati, senza rabbia e, soprattutto – importantissimo per gli ultra liberisti coniugi Park – senza stato, burocrazia, carta bollata e scuola; anche per questo la coppia si era affidata volentieri ai nuovi arrivati, alle superficiali conoscenze dei due ragazzi, all’iniziativa della madre, alla finta devozione del padre: lui e lei ben lieti che nessuno chiedesse di essere assunto secondo le procedure regolari che gli stati, di solito, prevedono a garanzia di tutti.
Sarebbe arrivato per tutti, però, ricchi e poveri, il momento della verità, la dolorosa resa dei conti e della riflessione inevitabile sui parassiti e sui parassitati…
Qui mi fermo senza altro rivelare per non togliere a chi lo vedrà (spero che saranno molti) il piacere della sorpresa, poiché le svolte del film, costruite con intelligenza tagliente e surreale, quasi bunueliana, accompagnano la visione, con l’esattezza di un teorema, fino allo spiazzante e tragi-comico finale.
Mi è parso, dunque che il regista, di fronte all'invasività semplicistica del modello egemonico del liberismo globalizzante che ha fatto terra bruciata di quasiasi cultura pre-esistente e della solidarietà pietosa che le aveva caratterizzate, senza che qualche voce si levasse per mitigarne almeno la disumanità, inviti noi tutti a ripensare al futuro impegnando le nostre energie e la comune razionalità alla ricerca di vie d’uscita, abbandonando le illusioni ottimistiche circa una presunta naturale bontà dell’uomo, che qualcuno avrebbe stoltamente deviato, ma anche senza rimpiangere i vecchi tempi ormai improponibili.
Bong Joon-ho ci ha detto, dunque, con questa sua ultima fatica, che è ora di reagire, prima che la tragedia, non solo ambientale, ci travolga definitivamente, senza scampo per nessuno.
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