Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film
Il classismo come espressione naturale e diretta di un capitalismo ipocrita, ed il suo fisiologico implodere in una lotta senza prigionieri tra poveri che si accapigliano per il mantenimento di una momentanea posizione dominante, sono il fulcro di un film esilarante e spietato.
Nella scala sociale, la famiglia Kim è in basso come il sottoscala in cui abita, dalla cui finestra sul filo della strada vede irrompere in salotto disinfestazioni miste a vomito e urina, assieme ai rumori dei bassifondi di una Seoul nella quale si barcamena alla ricerca quotidiana tanto di un wi-fi senza password da scroccare quanto di un lavoro a cui affidarsi per continuare a sopravvivere e magari riuscire a sognare il benessere.
Padre, madre, figlio e figlia, sono uniti dal desiderio di non darla vinta ad un mondo che li ha respinti e relegati ai margini. E quando un amico che studia all'università ed è in procinto di partire per l'estero propone a Ki-woo, il Kim 'figlio', l'opportunità di sostituirlo - ben pagato - grazie alla sua buona parola nel ruolo di tutor di una liceale benestante, questi ci vede un'occasione da cogliere al volo. Maestro, al pari degli altri Kim, nell'arte di arrangiarsi e di improvvisare, riesce a far assumere pure sua sorella spacciandola per una conoscente laureanda in psicologia dopo aver instillato nella madre della studentessa il dubbio che il figlio piccolo abbia tratti schizofrenici, dando il via ad un domino che porta a dar lavoro in quella stessa casa, sempre dietro identità e qualifiche fittizie, anche al padre e alla madre: una casa, quella lussuosissima e architettonicamente all'avanguardia della facoltosa famiglia Park, che i Kim finiscono dunque per 'parassitare' spostandocisi in massa, ma che ha nascosto nei propri meandri un segreto scoperto il quale tutto sfuggirà ad ogni controllo.
Dopo aver disposto linearmente la lotta di classe sui vagoni dell'ultimo treno della storia del mondo in Snowpiercer, con Parasite Joon-ho Bong la trasferisce più realisticamente e in maniera diversamente plastica in due abitazioni economicamente agli antipodi in una Corea del Sud che potrebbe essere uno qualsiasi dei paesi odierni industrializzati e globalizzati, nella quale la forbice tra ricchezza e povertà è quanto mai divaricata, e il fardello sulle spalle di chi arranca in condizioni di svantaggio sempre meno sostenibile.
Tenendosi ben stretto il proprio attore feticcio Kang-ho Song, Bong declina la propria poetica fatta di personaggi disperatamente borderline e la propria propensione a guardare obliquamente il mondo partendo dal punto di vista dei perdenti, in un film cangiante che balla, sostenendo egregiamente l'incalzare del ritmo, tra il dramma, la commedia ed il thriller, mantenendo dall'inizio alla fine uno humor nerissimo ed un senso del grottesco che fanno da bizzarro controcanto ad una tensione che cresce e vibra.
Il classismo come espressione naturale e diretta di un capitalismo ipocrita, ed il suo fisiologico implodere in una lotta senza prigionieri tra poveri che si accapigliano per il mantenimento di una momentanea posizione dominante, sono il fulcro di un film esilarante e spietato: quei poveri che hanno addosso un puzzo tipico e non riescono a toglierselo neanche cambiando il loro sapone o il detersivo per i panni, perché è l'odore umido del disagio del quale è intrisa l'aria che respirano, e che nel loro lurido sottoscala come punto geograficamente - e curiosamente - più alto hanno la tazza del cesso, dove recarsi per agganciare il wi-fi o presso la quale rifugiarsi nel caso in cui un diluvio rischi di scaricarli via come fosse uno sciacquone. Fino a che l'ennesimo trauma non degeneri in tragedia, e fino a che il susseguente doloroso assestamento non sfoci nell'ennesima illusione di poter, un giorno, realizzare quel sogno che intimamente sanno già esser destinato a rimanere tale.
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