Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film
Il film si dipana su due livelli. Il primo elementare, quasi rozzo nelle sue dinamiche stereotipate e i suoi personaggi caricaturali, ove anche il non previsto è in qualche modo scontato. E' il piano della narrazione, che sviluppa una storia tutto sommato semplice, ove le metafore sono strillate e la morale univoca come in ogni fiaba che si rispetti. Il tutto con qualche eccesso di troppo, forse esito di scelte commerciali più che autoriali. I meccanismi sono bene oliati e gli attori più che all'altezza ma, onestamente, avrei preferito maggiore sobrietà, un po' meno azione e un po' più intelletto. Poi c'è un secondo livello, profondo, volutamente occultato dallo strepitio degli eventi. C'è un personaggio in più, non fatto di carne ed ossa, che si struttura progressivamente sino a diventare il vero protagonista, sino ad avere un'anima. E' lo spazio in cui si svolge gran parte della storia, la casa signorile con i suoi recessi ed il suo giardino. Uno spazio armonico, ove ogni orpello è bandito. Un monumento all'essenza; una sorta di chiesa. Si può solo immaginare la raffinatezza e la cultura di chi l'ha progettata che è ormai altrove, molto lontano da questo piano di realtà. Qualcosa di quel sapere rimane, non a caso, confinato nella sua parte più oscura, quel rifugio antiatomico che è tentativo razionale di dominare la paura. Lì una scrivania, un povero giaciglio ed uno scaffale di libri, pur nello squallore di uno spazio creato dall'angoscia della morte, configurano un ambiente con una sua dimensione di umanità in cui, infatti, si può vivere anni in modo inspiegabilmente dignitoso. Il sotterraneo, l'inconscio, si palesa nel conscio, la geometrica perfezione della casa e del giardino, solo tramite segnali di luce che non possono essere compresi se non tramite un codice che la modernità ha scordato. L'anziana governante è l'unica a conservare la memoria del passato. Nessuno dei personaggi dell'oggi conosce completamente la casa, nessuno la comprende veramente: nè gli intrusi che si illudono di possederla abusandone, nè i momentanei proprietari che, più che abitarla, la occupano distrattamente senza avere nè la sensibilità, nè il gusto per apprezzarla, tanto da considerare il ridicolo scarabocchio di un bambino espressione artistica degna di nobilitarne una parete. Sia gli ultimi che i primi della scala sociale condividono la stessa volgarità, la stessa ignoranza, lo stesso assoluto asservimento ad un sistema percepito come ineluttabile, pur se disumano. La casa, nella sua muta eleganza, vestigia di dimenticati valori, assisterà all'esplosione della nuova barbarie.
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