Regia di Abel Ferrara vedi scheda film
In vent'anni - fino a questo Blackout - di carriera, Ferrara è sempre rimasto a gironzolare attorno alle stesse tematiche, pur riuscendo a metterle in scena di volta in volta con sfumature differenti; qui riprende la critica al sistema hollywoodiano di Occhi di serpente, la decadenza inarrestabile de Il cattivo tenente e l'impossibilità di affrontare in maniera sincera la dipendenza (The addiction), mescolando il tutto in una pellicola dalle eccessive velleità autoriali. E qui sta il limite più grosso del prodotto: in una messa in scena elaborata ai limiti dell'artificioso, in cui luci, colori e inquadrature sembrano volersi accattivare il pubblico (in certi momenti, ad es., sembra di trovarsi in un videoclip musicale) piuttosto che, molto più semplicemente, aiutarlo a comprendere la storia e a seguirla con quanto più interesse possibile. La resa estetica di Blockout in tal modo vacilla, nonostante il buon cast (Matthew Modine, Dennis Hopper, Beatrice Dalle e, in una delle sue rare incursioni sul grande schermo, la modella Claudia Schiffer) e una sceneggiatura che parte da una trama assolutamente intrigante (la tensione verso il mistero che viene rivelato nel finale è mantenuta adeguatamente). Quest'ultima è scritta da Ferrara con Marla Hanson e Christ Zois, che scriverà per il regista anche i futuri New rose hotel e Chelsea on the rocks. Musiche rock grezze di Joe Delia, fotografia - livida, come si conviene alla storia e in generale al cinema di Ferrara - del 'solito' Ken Kelsch, che collabora con il regista fin dagli esordi. Peccato, la sensazione che lascia Blackout è quella di aver sprecato delle buone intenzioni. 5,5/10.
Un attore appena uscito da una lunga e furiosa crisi personale, con tanto di abuso di alcol e droghe, indaga con uno psicanalista sul suo passato recente: nella sua memoria c'è uno spaventoso 'blackout' che risale a un anno e mezzo prima, all'apice della crisi.
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