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Regia di Jordan Peele vedi scheda film

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Gangs 87

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La recensione su Noi

di Gangs 87
6 stelle

A trent’anni di distanza da un trama che ha sconvolto la sua infanzia, Adelaide Wilson torna nella casa sulla spiaggia dove è cresciuta, insieme al marito e ai due figli. Mentre il passato sembra tornare a tormentarla, la donna cade in uno stato di paranoia dalle conseguenze spaventose e inaspettate.

 

Non fate l’errore di guardare questa pellicola con il solo occhio che scandaglia ciò che vede ma provate a lasciarvi trasportare, ad andare oltre le apparenze e forse (perdonatemi ma il condizionale è d’obbligo) riuscirete a percepire tutto il di più che le cose non dette possiedono. Non fate come me, condizionata da una visione (forse) superficiale che non è riuscita a carpire i significati nascosti che solo dopo sono andata a ricercare in spiegazioni dettagliate che comunque non mi hanno convinta più di tanto.

 

L’ottima fotografia di Mike Gioulakis che alterna le ombre alla luce nei momenti che distinguono la notte dal giorno, laddove la notte è da sempre il momento in cui i demoni interiori si palesano, è il cardine fondamentale attorno alla quale si muovono sia i personaggi che la sceneggiatura, scritta dallo stesso Peele che detiene anche il soggetto della pellicola, che racchiude spesso in modo sparso e confusionario l’infanzia e l’esistenza di Adelaide evidentemente affetta da una forma depressiva acuta che genera il lei il terrore di se stessa.

 

Il marasma di contenuti che la pellicola contiene è eccessivo per un film che deve avere una durata costringente, lo stesso finale, che apre a molteplici interpretazioni ogni singola scena vista, finisce per essere ridotto ad un banale atto conclusivo di qualcosa che meriterebbe una spiega più approfondita.

 

Jordan Peele prova così a realizzare un horror partendo dalle paure più infime dell’essere umano, rafforzandole con connessioni bibliche e storie realmente accadute (le persone vestite di rosso che si tengono per mano ricordano non poso l’evento del 1985 Hands Across America) affinché anche il più misero accenno di timore si possa radicare nel profondo e dare benzina e fuoco ad una miccia innescata già dalle prime sequenze.

 

Se le intenzioni sono però ben esplicite, molto si disperde nell’atto della realizzazione. Non capendo molto di ciò che vediamo, almeno non fino al finale in parte rivelatorio, la realizzazione di Peele più che una pellicola sembra un atto dimostrativo, un’opera d’arte astratta che a volte disturba per l’ennesimo estremo tentativo di voler dire senza mostrare.

 

Pur avendo quasi sempre bocciato tutte quelle pellicole di cui devo andarmi a ricercare il senso che hanno dietro, e ovviamente non parlo di quelle costruite su una valida sceneggiatura che lasciano libera l’interpretazione ma piuttosto di quelle, come appunto Us o piuttosto Get Out, che volutamente escludono pezzi di narrazione con l’intento di affascinare maggiormente chi guarda, senza rendersi conto di creare una confusione irritante, stavolta sarei ingiusta se bocciassi a pieni voti l’opera di Peele che per quanto scomposta possiede il fascino (molto più di Get Out) dei thriller mal scritti ma ben montati.

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