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Aspromonte - La terra degli ultimi

Regia di Mimmo Calopresti vedi scheda film

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La recensione su Aspromonte - La terra degli ultimi

di Furetto60
7 stelle

Suggestivo,intenso e poetico questo film di Mimmo Calopresti. Ispirato ad una storia vera

Siamo nel 1951 ad Africo, un piccolo centro sito nella valle dell’Aspromonte calabrese, completamente isolato dal resto del mondo, dimenticato dagli uomini e da Dio, i cui abitanti, vivono senza corrente elettrica, senza acqua corrente, in condizioni di totale indigenza: i bambini camminano  scalzi e sono poco alfabetizzati, le infrastrutture sono inesistenti, c’è sudiciume dappertutto e la miseria è palpabile in ogni dove, ma soprattutto nello sguardo  della gente ormai spento, che sembra aver perso qualsiasi briciola di vitalità. Gli abitanti ormai allo stremo, esasperati dallo stato di abbandono in cui le istituzioni li hanno lasciati, vanno a protestare alla pubblica autorità, estorcendo al prefetto la falsa promessa, di far salire in paese un medico. Un giorno una donna incinta muore di parto insieme alla creatura, che porta in grembo, solo perché in quel luogo, non c’è il dottore, l’unico abita alla Marina e non riesce ad arrivare in tempo, non c’è una strada di collegamento, ma solo un sentiero disastrato, a questo punto esplode la rabbia della popolazione. Guidati da Peppe un manovale che ha un certo ascendente sugli africoti, decidono di costruirsela da soli quella maledetta strada. I bambini e tra questi il figlio Andrea di nove anni, partecipano ai lavori. L’entusiasmo si smorza presto, per motivi diversi, c’è chi si oppone, in primis proprio i politici del luogo, che invocano cavilli burocratici per perseguire il proprio tornaconto e poi le ragioni del brigante Don Totò, un piccolo boss locale interpretato da Sergio Rubini.  che per mantenere il controllo sul territorio e i suoi abitanti, impedisce qualsiasi tentativo di progresso e autonomia

  La lotta si fa aspra e la costruzione della strada diventa una questione di principio, nel frattempo giunge ad Africo, Giulia, una maestra di Como che, a differenza di chi l'ha preceduta, non è capitata lì per sventura o per caso, ma per scelta ed è “Il poeta” interpretato da Marcello Fonte, ad accoglierla in quel posto arido e desolato. In un’aula che ha ben poco di didattico e assomiglia più ad una stalla. Tuttavia lei è animata da tanta buona volontà e da buoni propositi, non ha mai cedimenti e prova a dare i primi rudimenti ai bambini, in prima battuta contrastandosi  con  i genitori che preferiscono che i bambini diano una mano, piuttosto che farli andare a scuola, poi però conosce il carismatico Peppe, e il combattivo Cosimo e naturalmente il poeta Ciccio, anima nobile e saggia, che capisce l’importanza dell'istruzione, proprio perché non l’ha mai ricevuta, cosi  dopo qualche piccola incomprensione i piccoli tornano a scuola. Intanto le autorità bloccano i lavori e arrestano Cosimo, la popolazione insorge, capeggiata dal parroco che riesce ad ottenerne la liberazione, ma gli animi si sono surriscaldati, giunge sul posto perfino una troupe televisiva, attirata dalla notizia di una comunità che da sola si costruisce una strada. Il cerchio si chiude con la morte di Don Totò, ucciso per mano di Peppe, che ferito vigliaccamente dal boss, finalmente si ribella, segue il figlio che coraggiosamente lo precede, e spara mortalmente al bandito prepotente, che peraltro conviveva con la di lui moglie. Calopresti disegna un affresco tremendamente realistico della Calabria degli anni del dopoguerra, segnati da una miseria nera, un abbrutimento umano e dall’abbandono dello stato. Africo, luogo di montagna, impervio, privo di tutto, che sarà poi spazzato via da un alluvione, è il simbolo del riscatto di un popolo ed è veramente la terra degli ultimi, arcaica livida, piena di fango e miseria. In modo semplice ma efficace, la sceneggiatura di Calopresti e Monica Zapelli stigmatizza i tanti nemici del progresso, dalla miseria nera che spinge i genitori a togliere i figli dalle scuole, per mandarli nei campi, all'ignoranza, all'omertà che impedisce agli infimi di denunciare i propri taglieggiatori. Riuscire a raccontare la Calabria fuori da cliché, senza retorica, ma con poesia, non era affatto semplice, ma Calopresti, a mio modesto avviso, ci riesce, al netto di qualche ingenuità narrativa La cornice bucolica, con questa vegetazione selvatica e arida, è fortemente suggestiva ed è la location ideale per un racconto di questo tipo. Il tono all’inizio è leggero, quasi da favola, con il progredire della narrazione, la piega degli eventi diventa drammatica e la storia in qualche modo segue uno schema prevedibile. Tuttavia, il lavoro di Calopresti resta comunque validissimo, sia sul piano della denuncia sociale e dell’impegno civile, che dal punto di vista del racconto, che si mantiene sempre vivo. C’è tanto di nostalgicamente autobiografico per il regista e il suo produttore Fulvio Lucisano in questo film. Tutta la vicenda, infatti, è raccontata dalla prospettiva del piccolo Andrea, figlio di Peppe, uno dei più carismatici abitanti di Africo. Nel finale, infatti, è lui stesso anziano a tornare ad Africo, nel delizioso cameo di Fulvio Lucisano, dopo esserne andato via da bambino. Calopresti ha definito il suo film come una “favola western” e la definizione è sostanzialmente calzante. I personaggi sono ben disegnati e tra tutti spicca Marcello Fonte, un vero e proprio “poeta” immerso nella sua Calabria natia. Sergio Rubini, nel personaggio del cattivo è un tantino sopra le righe, brava come sempre Valeria Bruni Tedeschi.

 

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