Regia di Riccardo Milani vedi scheda film
Il professor Lipari allibisce di fronte all'ignoranza, all'ostinazione dei lavativi, all'arrivo di una sua vecchia alunna, ai ricordi, all'immenso numero dei libri in un biblioteca, alla perdita dei valori di un tempo. Allibisce fin da quando era piccolo, ma poteva farlo soltanto in certi luoghi, perché la sua origine lo omologava. Nelle sequenze di Milani si respira l'aria densa ed asettica delle scuole italiane, fra convinzioni e frivolezze che scivolano via senza rilevanza, e le nozioni culturali non prendono aria (come le domande dentro la scatola di legno con i buchi) ma entrano da un orecchio ed escono dall'altro, a causa dell'incomprensione, di insopportabili prese di posizione, di sfacciati luoghi comuni (il dolore in Manzoni e Leopardi), di studenti problematici ma non troppo, di svogliatezza sia da parte dei ragazzi che da parte dei professori. Quella difficoltà nello stilare un "piano didattico", quella difficoltà ad affermare la propria superiorità di esperienza rispetto a una supplente nuova arrivata e che lascerà presto la scuola, ma che nonostante tutto ha trovato appoggio negli studenti perché ha vissuto una vita da studentessa piena di stimoli (e di rari e fuggevoli baci al professor Lipari), piena di affetti che una morte ha stroncato violentemente: tutti sintomi per trovare l'avaria dell'incontro/scontro generazionale. La crescita sembra dover passare attraverso il relitto, la perdita, il lutto, che sia dell'interesse nell'insegnare, che sia di un amico caro che cerca di nascosto di scrivere per non "avere più paura". Della Scuola di Luchetti (non granché superiore) resta l'ambientazione, il protagonista e lo sceneggiatore, ma si perdono il tono grottesco (che era fin troppo sopra le righe) e il costante ritmo ironico, che invece qui si fa sincopato per lasciare spazio a momenti realmente drammatici (quasi tutti i ricordi e i sogni, in cui si mischiano le suggestioni poetiche di un'infanzia complessa, sanno essere commoventi a volte, e altre volte vogliono esserlo a tutti i costi). In entrambi i film però rimane uno strato macchiettistico che non sa fondere i due sguardi (serio e umoristico), li riassume talvolta in un grottesco che non diventa mai satira, talvolta in una superficialità che evita il triviale, ma non li calibra abbastanza per far realmente riflettere: per tutta la prima parte di Auguri professore dovremmo renderci lentamente conto che il professore è instabile e insicuro, "difettoso", ma la realtà è che in certe sequenze parteggiamo sempre per lui, e la supplente la odiamo come lui, ci infastidisce, e questo non perché Milani vuole farci vedere (in quei casi) il mondo dai suoi occhi (quelli di Lipari), ma perché non riesce a darci un giusto quadro d'insieme dal punto di vista psicologico, e ancora perché i personaggi sono macchiette. Ecco che la crisi di valori diventa un insieme di massime edificanti fin troppo chiare ed evidenti, la sofferenza abbastanza risaputa. Ciò però non toglie che comunque il film sappia dire qualcosa su quello che gli insegnanti lasciano negli studenti, nel bene e nel male, con un risultato che non è certo tanto meno illuminante della Scuola di Luchetti. Medio cinema italiano allo stato puro.
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