Regia di Roberto Benigni vedi scheda film
Creare un film drammatico facendo nel contempo sorridere mentre non evita di scendere una lacrimuccia era stato compito di Chaplin e qui Benigni tenta di bissare la missione. In effetti c’è riuscito: ha conquistato il mondo e i premi più ambiti della settima arte pur non confezionando una pellicola paragonabile a quelle del collega sopracitato ma lasciando ai posteri uno dei film italiani più belli mai visti. Caso raro in cui un film è considerato rilevante pur senza avere il famoso, come lo chiamo io, “connubio delle quattro parti” (musica, fotografia, sceneggiatura, cast), qui il punto forte è la trama, la storia e la morale che ne consegue. L’innocenza, rappresentata dal bambino, che racchiude la speranza del futuro. Benigni gioca solo su quello senza badare troppo alla fotografia o piuttosto a sequenze particolari; butta qui e la qualche scena, una musica memorabile ma non troppo ed esalta dialoghi e trama. Risultato? La statuetta ricevuta direttamente da Sofia Loren e l’accesso all’olimpo della stima d’oltreoceano ma a Roberto non interessa la gloria tra i grandi quanto piuttosto l’ammirazione del popolo, cosa che aveva già ampiamente conquistato anche se, almeno ultimamente, non sembra capace di preservare.
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