Regia di Roberto Benigni vedi scheda film
Benigni cambia improvvisamente registro e fa subito centro, riuscendo ad accostare ironia e sentimento in una storia che vive parallelamente su due binari: la realtà e la fantasia. La seconda può sembrare una soluzione di comodo, ma se la realtà è il disgustoso fascismo è per lo meno consolante poter disporre dell'immaginazione. Qualche perplessità sulle modalità con cui Benigni, un po' meno macchietta del solito (per inciso: irresistibile ed inuguagliabile quando si scatena, vedi la scena in cui ripassa i compiti del cameriere), ma comunque mai personaggio a tutto tondo, saltella e urlacchia gaio dentro a un campo di concentramento senza farsi ammazzare per quasi tutto il film: questa assenza del nazifascismo concreto (interrotta quando appare improvviso nei momenti cruciali del film: la deportazione, la fucilazione), brutale, bestiale, inumano, pesa un po' sulla credibilità della storia. Che comunque chiede solo di essere una sorta di fiaba, almeno sotto il profilo didattico: prendendola da questo punto di vista si tratta certamente di un capolavoro. Ma siccome è un film ambientato nella Storia e nemmeno tanto lontana da noi, questo limite teorico non è irrilevante. Ad ogni modo c'è pure un grave limite 'tattico'; non riesco - è più forte di me! - a dare cinque stellette su cinque per l'imbarazzante scelta della Braschi come coprotagonista: bella come un tostapane, ma certo non così espressiva. Peccato, perchè tenendo presente questa accoppiata di limiti è un film straconsigliatissimo.
Padre e figlio in un campo di concentramento. L'adulto racconta al piccolo che è solo un gioco, per dissimulare gli orrori della realtà. Il bambino sarà l'unico fra i due a uscirne vivo.
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