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Lucy in the Sky

Regia di Noah Hawley vedi scheda film

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La recensione su Lucy in the Sky

di mck
8 stelle

Honey of Life.

 

 

"Lucy in the Sky" (già “Pale Blue Dot”) è un film tanto sulla totalità, l’epifania, la scoperta, la rivelazione e il desiderio, quanto sul lutto, la frustrazione e la perdita (di tempo, di futuro, di orizzonti e di… spazio). E, in mezzo: la vita.

 

 

L'Amor che move il Sole e l'altre stelle?
“È cortisolo, ossitocina, dopamina. È un trucco, un inganno. Come il credere in Dio.”

 


Noah Hawley (scrivendo la sceneggiatura con i semi-esordienti Bryan C. Brown ed Elliott DiGuiseppi) si ostina ad indagare il recente passato (non) appena trascorso [in questo caso siamo a metà anni zero, lo stesso periodo storico in cui si svolge la prima stagione di “Fargo. E, a tal proposito, al contrario che nel film dei Coen e nella serie tv da esso gemmante, qui un cartello recante scritto “tratto da una storia vera” (Lucy Cola (Natalie Portman) = Lisa Nowak & Mark Goodwin (Jon Hamm) = William Oefelein) sarebbe stato veritiero: e perciò inutile…], e lo fa innestando germogli ancora ben verdi della classicità degli epigoni pseudopodici del Free Cinema (penso al molto bello, travagliato e sottovalutato “Blue Sky”, film-testamento involontario di Tony Richardson) nel tronco ramificato e attorcigliato a doppia elica su sé stesso del massimalismo postmoderno.

 


“Non riesco a persuadermi del fatto che un Dio buono e onnipotente abbia potuto e voluto creare con espressa intenzione gl'icneumonidi facendo deliberatamente in modo ch'essi si nutrissero del corpo di bruchi ancora vivi.” - Charles Darwin

 


A parte le versioni ante litteram di Samantha Cristoforetti e una via di mezzo fra Paolo Nespoli e Luca Parmitano, chiudono il gran cast Dan Stevens (“Legion”), Ellen Burstyn, Zazie Beetz, Pearl Amanda Dickson, Jeffrey Donovan, Colman Domingo, Nick Offerman (“Parks and Recreation”, “Devs”), Tig Notaro (“One Mississippi”).
Comparto tecnico-artistico appartenente alla crew di Hawley: fotografia (che spazia dall’1.33:1 al 2.39:1 passando per l’1.85:1) di Polly Morgan, montaggio di Regis Kimble e musiche del grande Jeff Russo (che, feat. Lisa Hannigan, licenzia una propria versione della lennon-mccartyana semi-title track utilizzata durante un climax in PoV su carrello).
Produce Reese Witherspoon: flop colossale per un bel film incapito (si consideri a tal proposito il coevo “Vox Lux” di Brady Corbet, altro esempio di cinema postmoderno-massimalista, mentre soltanto parzialmente si potrebbe proporre un paragone con "Proxima" di Alice Winocour), onore al merito.

Bruttino l'utilizzo e l'inserimento "poetico" e "significante" di alcuni degli effetti speciali "lepidottereschi" (il "nostos" pre-finale, non la schiusa degli imenotteri parassiti).

 

 

Esistenza cosciente: istruzioni per l'uso e tentativo di definizione: guardare in loop il disastro del Challenger per farsi forza in vista della prossima missione.

"Lucy in the Sky" piuttosto ch'essere un post-"Gravity" (o un side-reboot in tempo di "pace" di "the Hurt Locker") ne costituisce il contrappeso, per l'appunto, gravitico: le due opere, insieme, vanno a creare nel sistema sociale umano un punto di Lagrange dove si ritrova ad orbitare, tanto stabile e stazionaria quanto sempre in bilico ed oscillante, la viva e vitale presenza dell'esperienza umana messa di fronte (l'estroflessione dell'inner space) a sé stessa.

 


* * * ¾       

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