Regia di Michael Hoffman vedi scheda film
Ragazze dell’Est costrette a un esodo poco biblico. Dai paesi ex sovietici a Israele, per essere impiegate come schiave del sesso. Personaggi e interpreti: una Anne Parillaud luciferina che le mette all’asta, una Hanna Schygulla entraineuse che sembra un misto tra la Caterina Boratto di Salò e la Jeanne Moreau di Nikita, una Rosamund Pike simbolica turista, dapprima divertita dalla “tratta” poi sconvolta dai soprassalti di coscienza. Amos Gitai è un cinegrafomane, ha una media di uno-due film all’anno e non tutti possono dirsi irrinunciabili. Poi ha un difetto di fondo: antepone il contenuto a tutto il resto. In Terra promessa, però, l’assunto didascalico è supportato da un impatto visivo che non lascia scampo. La sequenza finale dell’attentato allude alla possibilità che dal caos possano nascere libertà e speranza. Sarà pure sopra le righe ma è magnifica. Così come è un gran pezzo di cinema la lunga scena della tratta delle bianche, in mezzo al deserto, fotografata con le sole luci naturali. Non è sulle contraddizioni di Israele che pesta giù duro il regista, ma sulle contraddizioni di tutti. E mentre in superficie la “società civile” fa saltare in aria i propri kamikaze o costruisce muri della vergogna, nell’underground i traffici più turpi sono gestiti da israeliani e palestinesi, uniti. È forse questa, la lezione più drammatica.
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