Regia di Louis Malle vedi scheda film
Il ragazzo di campagna passato al lato oscuro è un infantile ed egocentrico esempio della “banalità del male” che egli compie quasi inconsapevolmente, senza essere realmente malvagio pur risultando certamente privo di una qualsivoglia bussola morale.
Nella regione dei Pirenei ai confini con la Spagna, nel 1944 Lucien Lacombe è un ragazzotto di paese rimasto senza padre, esuberante, annoiato ed in cerca di avventure, che in quel momento storico sono ovviamente offerte dalla guerra mondiale in corso. Rifiutato dalla resistenza per la sua immaturità, decide allora di unirsi ai collaborazionisti degli occupanti tedeschi. Una scelta che non matura certo per adesione ideologica (aveva per primo chiesto al maestro partigiano di unirsi a loro), ma piuttosto per bisogno di appartenenza a qualcosa, di trovare il suo posto nel mondo e per dimostrare di essere uomo, unendosi a quel conflitto che ai suoi occhi appare come un gioco, non rendendosi appieno conto delle nefaste conseguenze delle sue azioni. L'ignorante campagnolo è d'altronde facilmente manipolabile: basta fargli prendere una bella sbornia per indurlo a tradire il maestro partigiano, basta mettergli in mano una pistola per fargli credere di essere un grand'uomo. L'intera popolazione è d'altronde manipolata dalla propaganda, che dalle radio di regime trasmette una versione distorta degli eventi dello sbarco in Normandia, presentato come una disfatta degli Alleati. L' ingenuo e spaesato Lucien, scoperto il potere che far parte della polizia occupante gli conferisce, si fa sempre più sicuro di sé fino a diventare arrogante, ma la sua è la strafottenza del bulletto più che il fanatismo dell'estremista ideologico: del nazismo poco gli importa, però approfitta del suo ruolo per far saltare la fila per il pane alla tipa che gli piace e imbavaglia il prigioniero che gli dà poco rispettosamente del tu. Per l'adolescente l'amore è certo una spinta più potente della politica, e così quando si innamora di una ragazza ebrea, figlia di un sarto che cerca vanamente di mettersi in salvo passando il confine spagnolo, va a cambiare di nuovo sponda sventandone la deportazione.
Lacombe Lucien si distingue dagli altri film sulle “guerre civili” nei Paesi europei occupati dal nazifascismo per aver scelto come protagonista un collaborazionista piuttosto che un resistente e ancor più per non demonizzarlo come persona del tutto malvagia ed immorale, presentandoci invece, con una certa (non assolutoria) empatia, un personaggio ambivalente e contraddittorio su cui non è facile emettere un giudizio definitivo ed inappellabile.
Ambiguo è il rapporto con il sarto ebreo Horn, con cui il poco ideologico e ancor meno razzista Lucien stringe fin da subito un legame, innamorandosi poi della figlia France, che finisce per ricambiarlo conquistata dalla sua sfrontatezza. Questa famiglia borghese in fuga da Parigi, che per la speranza di riuscire a fuggire dai territori occupati deve scendere a compromessi con gli avidi filo-nazisti, è senza dubbio attratta dall'energia Lucien, dalla cui amicizia e amore si illudono di trarre qualche vantaggio o forse la salvezza, al contrario della fiera nonna che lo schifa con il massimo del disprezzo.
Girato con grande eleganza da Louis Malle, impreziosito dalla fotografia di Tonino Delli Colli e dalle musiche jazz di Django Reinhardt accompagnato dall’Hot Club De France, Lacombe Lucien è un'opera flemmatica nel ritmo, ma intrisa del fascino di una sapiente messinscena, avvolgente e sempre coinvolgente. Fate ad esempio attenzione a come Malle dosa e prepara l'entrata in scena della protagonista femminile, che per alcune sequenze sentiamo soltanto suonare il piano, misteriosa presenza occultata dal padre apprensivo in una stanza chiusa.
Colpisce lo sguardo dell'autore sul mondo rurale: Malle chiude il film con una splendida ed idilliaca sequenza bucolica, in cui i protagonisti sembrano riusciti a sfuggire ai disastri dell'epoca entrando in una dimensione di sogno. Solo una scritta in sovrimpressione sull'ultima inquadratura ci informa della sorte finale di Lucien, lasciandoci l'onere di riflettere da soli se sia stata meritata o meno.
La sceneggiatura, firmata da Malle con il futuro Premio Nobel Patrick Modiano, è un profondo studio del carattere del suo protagonista, infantile ed egocentrico esempio della “banalità del male” che egli compie quasi inconsapevolmente, senza essere realmente malvagio pur risultando certamente privo di una qualsivoglia bussola morale. E' anche una riflessione sull'effetto distruttivo e corruttivo della guerra su ogni società, un contesto abnorme e disumano che può soltanto trarre il peggio dall'animo dell'uomo, dove le esuberanze adolescenziali di un ragazzo, invece di limitarsi a produrre qualche bravata, possono portarlo a collaborare con un totalitarismo genocida.
Lucien è ben incarnato dalla faccia da schiaffi di Pierre Blaise, esordiente non professionista che purtroppo non avrà una carriera per essere prematuramente morto in un incidente stradale un anno dopo il successo di questo film.
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