Regia di Louis Malle vedi scheda film
Quante polemiche scatenò questo film all’epoca della sua uscita nelle sale cinematografiche. Era il 1974, e Louis Malle riuscì nell’impresa di scontentare un po’ tutti. Su “Lacombe Lucien”, infatti, piovvero critiche feroci da ogni dove: alcuni (i comunisti) rimproverarono al regista di aver mostrato che nelle fila dei collaborazionisti c’erano soltanto persone povere e umili con un livello di istruzione basso; altri (i borghesi) non mandarono giù il fatto che Malle, attraverso il personaggio di Albert Horn, sostenesse la tesi secondo la quale la borghesia aveva stretto un accordo con i cattivi; altri ancora lamentavano che la storia fosse raccontata solamente dalla parte dei collaborazionisti, quasi come se i partigiani non fossero mai esistiti; infine, ci fu anche chi accusò il regista di aver voluto motivare gli atti delinquenziali compiuti da coloro che facevano parte della Gestapo. Queste furono le principali accuse che vennero mosse al film.
Da ricordare, inoltre, che nello stesso periodo l’allora Presidente della Repubblica francese, Valéry Giscard d’Estaing (che da ragazzo combatté i nazisti prendendo parte ad alcune azioni sostenute dalla Resistenza), con lo scopo di riabilitare i collaborazionisti della Repubblica di Vichy, abrogò la Festa della Liberazione, suscitando in questo modo lo sdegno dei partigiani che si batterono per liberare il proprio Paese dal nazifascismo.
Detto del vespaio provocato dalla pellicola in questione, occorre dire che stiamo parlando di un grande film, che ha superato indenne la prova del tempo, tanto da meritare di essere collocato nelle prime posizioni dell’ideale classifica dei migliori lavori dell’autore di perle come “Ascensore per il patibolo” (1958) e “Fuoco fatuo” (1963).
Di quest’opera che rifiuta l’enfasi puntando su una messa in scena realistica molto efficace, colpiscono la maestria e la sincera pietas con cui Malle narra la (breve) vita di un ragazzo diciassettenne, Lucien Lacombe, originario di un paesino nei pressi del confine spagnolo, Souleillac, che nel giugno del 1944, durante la Seconda Guerra Mondiale, nella Francia occupata dai nazisti, lavora come uomo delle pulizie in un ospizio. Avendo a disposizione cinque giorni di ferie, egli decide di tornare a casa dalla madre, che risiede in una fattoria in campagna.
In assenza del padre, arrestato e imprigionato dai tedeschi, nell’abitazione si sono stabiliti alcuni senza tetto, che ricambiano l’ospitalità dando una mano al proprietario della cascina, con il quale la mamma del ragazzo ha una relazione. Lucien ha un carattere scostante, è un tipo rozzo, dai modi bruschi e scontrosi, ed è sempre insofferente a tutto ciò che lo circonda, in particolare nei confronti del suo lavoro che non lo soddisfa affatto, perché lo trova umiliante, motivo per cui vorrebbe licenziarsi, intenzione che comunica alla propria genitrice. Mentre è a casa passa il tempo nei boschi a cacciare gli animali, che uccide con gusto sadico, colpendoli con la fionda o con il fucile, quasi come se per lui la caccia fosse un gioco da cui trarre divertimento.
Indeciso su cosa fare del proprio futuro, il ragazzo prova ad entrare nella Resistenza contattando il maestro di una scuola, Peyssac, che però lo respinge perché troppo giovane. Una sera, dopo essersi recato in bicicletta nel paese dove si trova la casa di riposo presso la quale lavora, mentre percorre la via del ritorno, Lucien buca una ruota, il che lo porta, senza rendersene conto, a violare il coprifuoco.
Nel momento in cui cerca di tornare a casa a piedi, vede una macchina e di nascosto la segue incuriosito. Il pedinamento lo conduce all’Hotel Des Grottes: invitato ad entrare, Lucien beve come una spugna. Completamente ubriaco, cade in un sonno profondo: quando si sveglia il mattino successivo scopre che quell'albergo è la sede degli ausiliari della polizia tedesca, i quali, durante la notte, grazie alla soffiata involontaria di un brillo Lucien, hanno arrestato Peyssac, colui che aveva negato al giovane il permesso di entrare nel gruppo di partigiani di cui egli è a capo. Quando gli ausiliari gli propongono di arruolarsi nella polizia tedesca, Lucien accetta l’offerta senza esitazioni.
Benché non si renda conto fino in fondo di ciò che sta facendo, egli diviene un collaborazionista. Nel gruppo di questi ultimi vi è un nobile che risponde al nome di Jean-Bernard de Voisins, di cui Lucien invidia lo stile di vita gaudente ed esibizionista, fondato sulla continua ricerca del piacere.
Jean-Bernard, dal canto suo, sembra prendere in simpatia il ragazzo e lo accompagna da un sarto ebreo, Albert Horn, per fargli fare un vestito su misura. Albert è costretto a pagare il nobile per non essere denunciato alla polizia, e ha una figlia, France, di cui Lucien si innamora a prima vista. Il padre della ragazza, però, non vede di buon occhio la loro relazione, per il semplice motivo che non vuole che sua figlia si metta assieme a uno sporco e infame collaborazionista. Stregato dal fascino di France, Lucien va e viene dall’appartamento in cui la ragazza dimora insieme al genitore e alla nonna a suo piacimento, come se fosse casa sua. Lucien ama France alla follia, ma lei pare frequentarlo unicamente perché costretta con la forza.
Giacché teme che se lasciasse il suo fidanzato egli si vendicherebbe facendo arrestare suo padre, France sopporta tutto, anche le umiliazioni pubbliche, come quando viene tacciata di essere ebrea mentre partecipa ad una festa all’Hotel Des Grottes.
Sebbene ella faccia il possibile per proteggere suo papà, questi viene arrestato comunque. Venuto a conoscenza del fatto, Lucien accoglie la notizia con freddezza, come se la cosa non lo riguardasse minimamente, tanto che non fa nulla per aiutare l’uomo. Nel frattempo la situazione precipita: i partigiani assaltano l’hotel della Gestapo e uccidono tutti i membri del corpo di polizia presenti nell’edificio tranne Lucien, che si salva per caso, solo perché durante l’azione promossa dagli uomini della Resistenza era chiuso in una stanza a sorvegliare un prigioniero. In risposta all’attacco subito, la polizia tedesca intensifica i rastrellamenti ai danni della popolazione ebraica.
A farne le spese sono France e sua nonna, che vengono arrestate proprio da Lucien, il quale, ancora una volta, agisce con impassibilità, eseguendo gli ordini dei suoi superiori come se fosse un automa.
Mentre conduce i due prigionieri fuori dal loro alloggio, all’improvviso il ragazzo si ribella e ammazza l’ufficiale tedesco che era con lui sparandogli alle spalle, dopodiché scappa con la sua ragazza e la di lei nonna verso la Spagna.
Prima di arrivare al confine, i tre si rifugiano in un cascinale abbandonato, dove passano qualche giorno di relativa tranquillità. Immersi nel verde e nella pace della campagna, lontano dai tumulti della guerra, France e Lucien paiono felici, ma è solo un’illusione effimera: il 12 ottobre del 1944, il ragazzo scoprirà a proprie spese quanto caro possa costare subire la fascinazione del male.
Antiretorico e antispettacolare, splendidamente fotografato da Tonino Delli Colli, autore di una fotografia dai toni sfumati e crepuscolari che cattura magnificamente l’atmosfera dei paesaggi agresti in cui si svolge la storia, girato con uno stile semidocumentaristico che ne accresce la forza, “Cognome e nome: Lacombe Lucien” (nominato agli Oscar come Miglior Film Straniero nel 1975) è un lucido e severo ritratto di un ragazzo confuso al punto da aver smarrito le coordinate per muoversi in un mondo dominato dalla follia generata dal Secondo Conflitto Mondiale.
Lucien proviene da una modesta famiglia di contadini, e la guerra ha fatto irruzione nella sua vita portandogli via suo padre proprio quando egli, adolescente allo sbando, avrebbe avuto maggiormente bisogno della figura paterna.
La sua esistenza misera e totalmente priva di soddisfazioni e di entusiasmo contribuisce ad acuire il suo malessere esistenziale: si guadagna da vivere svolgendo un lavoro degradante, che odia con tutte le sue forze, e si sente un essere inferiore, ragione per la quale ha difficoltà a relazionarsi con gli altri; vorrebbe elevare il proprio stile di vita e, non trovando alternative, pensa che il modo più facile per riscattarsi socialmente sia quello di diventare un membro della Gestapo.
Non essendo in grado di discernere cosa sia giusto e cosa sbagliato, cosa sia buono e cosa cattivo, subisce passivamente l’influsso della perversa ideologia nazista: egli si unisce alla Gestapo solo perché attratto dalla bella vita che conducono i suoi affiliati, fregandosene quindi altamente delle attività criminali operate da questi ultimi. Il suo è un gesto di ribellione, un atto impulsivo dettato dall’ignoranza e dalla rabbia: per Lucien vendersi al nemico è un modo come un altro per far capire agli altri che al mondo esiste pure lui.
Quando (forse) comprenderà di aver sbagliato tutto, tenterà di riscattare i propri errori, ma sarà troppo tardi: il suo destino è ormai segnato, e per quanto egli cerchi di rimediare ai suoi sbagli, si ritroverà a pagare a caro prezzo le proprie scelte scellerate.
Quello di Lucien è un personaggio ambiguo e contraddittorio (malgrado faccia parte della Gestapo, si innamora follemente di una ragazza ebrea), che Malle (che firma la sceneggiatura a quattro mani con Patrick Modiano) tratteggia alla perfezione, mostrandocene tutti i difetti evitando però al contempo di esprimere giudizi sulle sue azioni, compito che il cineasta lascia allo spettatore.
La regia è attenta alle minime sfumature e, mediante lunghi piani sequenza e fluide carrellate, ricostruisce con precisione millimetrica e con grande tensione narrativa e morale il difficile periodo storico in cui è ambientato il film.
Valido il cast: Pierre Blaise e Aurore Clément, entrambi esordienti, prestano il volto rispettivamente all’incolto e ribelle Lucien e alla dolce e sensibile France; da segnalare anche le ottime prove di Holger Löwenadler, che recita nei panni di Albert Horn, il sarto ebreo che va incontro a un destino tragico, e Thérèse Giehse, che interpreta Bella Horn, la nonna di France. Bellissime le sequenze iniziali e finali. Egregia la colonna sonora di Django Reinhardt.
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