Regia di Francesco Rosi vedi scheda film
Tratto dal capolavoro di Garcia Marquez, non eguaglia il romanzo da cui è ispirato, ma comunque è interessante
L’ormai anziano dottor Cristof Bedoya approda in uno sperduto villaggio della Colombia, dove da giovane ha fatto il suo apprendistato medico, per dirigerne l’ospedale. Viene colto dai ricordi della giovinezza, quando il giovanissimo amico Santiago Nasar, rampollo di una nobile famiglia del paese, venne giustiziato a coltellate dai fratelli Pablo e Pedro Vicario, per riscattare l'onore perduto dalla loro sorella Angela, ripudiata e restituita ai genitori, dopo la prima notte di nozze dal marito Bayardo San Roman, allorquando egli aveva scoperto che la neo-sposa, non era più illibata e cosi violentemente coercizzata dai familiari, si era lasciata estorcere il nome del presunto defloratore. Sull'onda dei ricordi, Bedoya ricostruisce la meticolosa cronaca di quel doloroso avvenimento, dall'arrivo del corteggiatore Bayardo, fino alle nozze sfarzose, cui farà seguito il ripudio e i fratelli Vicario che annunciarono a tutti la loro intenzione di punire Santiago con la morte, sperando in cuor loro, che qualcuno avesse impedito l’omicidio, perché da un lato provavano l'obbligo morale di riscattare l'onore perduto della sorella, in quanto la consuetudine arcaica, in quel periodo storico e in quel luogo, imponeva tale sacrificio, onde recuperare una reputazione e un decoro familiare messo in discussione dalla grave trasgressione, ma dall'altro provavano ribrezzo verso un atto di violenza, che non apparteneva alla loro natura, ma nessuno mosse un dito per evitare la tragedia, cosi davanti al passivo fatalismo di quasi tutto il paese, riversato sulla piazza in occasione del passaggio del vescovo, si consumò la tragica uccisione di Santiago. Ángela e Bayardo, invece, si rincontrarono dopo 17 anni, quando Bayardo si presentò alla porta di lei con una valigia ricolma di lettere, mai aperte, che la donna gli aveva sistematicamente scritto in tutti quegli anni e finalmente avvenne la tardiva riconciliazione. Il regista Francesco Rosi ha girato la trasposizione cinematografica di un capolavoro di Gabriel García Márquez, ispirato a un fatto di cronaca vera, che lo aveva molto colpito, dato che conosceva molto bene la vittima. L'autore ha atteso molti anni prima di pubblicare la storia per rispetto alla madre dello sventurato ragazzo, fortemente scossa dalla tragica morte del figlio. Il matrimonio artistico tra un regista di qualità eccelse come Rosi e un autore geniale e sensibile come Marquez, con un cast di attori di primissimo livello, in teoria avrebbe posseduto tutti i presupposti, per concepire un film eccezionale, ciò di fatto non è avvenuto. La regia ha sacrificato l'impianto del "giallo" favorendo il carattere melodrammatico della vicenda. A differenza del libro di Garcia Marquez, la dimensione del fatalismo, così vivacemente descritta dallo scrittore, qui è più sbiadita e concede più credito alla connotazione religiosa e del sacrificio umano, come dazio da pagare alle convenzioni sociali trasgredite, che alla messa in scena, dell'ineluttabilità del destino, che alle volte sembra tessere le sue trame inintelligibili,con gusto sadico. Resta comunque un film carico di suggestioni, a partire dalla splendida interpretazione di Gian Maria Volonté e dalla fotografia di De Santis. Efficace è anche la rappresentazione della memoria in dissoluzione, si pensi alla tomba ignorata di Santiago, alla casa abbandonata di Bayardo e Angela e poi al ruolo della natura rispetto agli eventi umani, gli uccelli prima come presagio di sventura, dopodiché testimoni della riconciliazione. Poi ci sono la nostalgia e il rimpianto per una vita sprecata, che trova una qualche magra consolazione nella vecchiaia. Di grande impatto emotivo, la sequenza in cui l'intero paese si ferma ad osservare Santiago dirigersi verso la piazza dove lo attende il suo destino tragico, trasformando così un agguato in un'autentica esecuzione pubblica. Non tra i migliori di Rosi,ma comunque da vedere.
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