Nella Trieste di oggi una nonna (la interpreta una consunta e sofferta Geraldine Chaplin) percorre con la memoria, e pure nei luoghi che ancor oggi testimoniano un dramma lontano settanta anni orsono, un passato che la vide giovinetta testimone oculare di un vero e proprio massacro da foiba, eccidio tra i tanti di cui furono vittima gli italiani abitanti nel Friuli Venezia Giulia e dell'Istria, quando la Seconda Guerra Mondiale svoltò verso l'armistizio, proclamato da Badoglio e da un re in fuga, colpevoli poi di aver lasciato in balia di se stessa un'Italia invasa e dilaniata da una guerra civile ancor più sanguinosa di quella ufficiale in corso.
In quelle zone "rosse" non tanto per il colore dei rivoluzionari partigiani, quanto più genuinamente per il colore della bauxite contenuto nelle fertili terre circostanti, l'insofferenza generata dalla pressione fascista, scoppia in una rivendicazione violenta da parte degli oppositori che, unitisi ai comunisti di Tito, finiscono per riversare il loro odio verso il regime totalitario di Mussolini, vessando ed opprimendo arbitrariamente le popolazioni locali, tutte di facciata ex fasciste per la necessità di essere iscritti al partito a soli fini di sopravvivenza.
Tra le figure che emergono nel tentativo di resistenza contro un regime dittatoriale come quello comunista, che fa seguito alle barbarie della dittatura fascista, ma che si dimostra parimenti devastante e sanguinario, una figura di donna giovane e coraggiosa finirà per emergere e restare alla memoria a suggello di tante vittime innocenti finite a morire di morte violenta nelle fosse comuni, colpevoli solo di appartenere ad un popolo, quello italiano, oggetto di una vera e propria azione di rappresaglia e di persecuzione razziale non dissimile a quella, più vasta solo per proporzioni, attuata nei confronti del popolo ebreo dai nazisti.
Il film, diretto con ambizione da Maximiliano Hernando Bruno, si impegna a tracciare un affresco corale di una resistenza strenua di un gruppo di paesani onesti e dediti al lavoro, colpevoli di aver assecondato, pur senza enfasi alcuna, l'ondata trionfalistica fascista in via di ritirata dopo l'armistizio e la resa del 1943.
L'impegno e la buona volontà di narrare i fatti documentati dalle sanguinose stragi che hanno afflitto e falcidiato centinaia di innocenti nelle terre del Nord est del paese nei momenti cruciali e più drammatici del Secondo conflitto, sono senz'altro innegabili e suscettibili di merito e menzione.
La pellicola sceglie una narrazione classica a flash-back, aperta e chiusa da due appendici risalenti ai giorni nostri, quasi a voler ribadire la necessità e l'urgenza di una memoria che possa non dimenticare ne tacere certe pagine devastanti della nostra storia recente, a vantaggio delle future generazioni.
Il film - tra i cui interpreti riconosciamo ed apprezziamo pure, in ruoli minori ma non meno cruciali, Franco Nero, Sandra Ceccarelli, e lo stesso cineasta Bruno - si districa narrativamente secondo una storia corale che permette ad alcuni personaggi, come la tenace studentessa Norma Cossetto, martire tra le più note dell'eccidio delle foibe, di farsi carico dei momenti più drammatici e riusciti della pellicola. Che, a volte, certo, sbanda nella costruzione di personaggi a rischio di caricatura, come avviene talvolta soprattutto nel tratteggio di alcuni crudeli personaggi di aguzzini istriani.
Ma si tratta, nel suo complesso, di un prodotto valido, soprattutto per il merito che la Rosso Istria di tornare validamente in argomento su una vera e propria strage di innocenti destinata troppo spesso ad essere tralasciata o non valutata adeguatamente con lo sdegno che merita, tra i capitoli più bui e drammatici per l'umanità, incentrati attorno ad un conflitto bellico devastante come fu la guerra nel lungo periodo tra il '39 e il '45.
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