Regia di Diederik Van Rooijen vedi scheda film
Un terribile rituale di esorcismo finito nel sangue, costringe il padre della vittima posseduta non solo o semplicemente a sacrificarla alle forze maligne che la dominano, soffocandola dopo che la sua furia causò la morte di un prete ed il ferimento del suo aiutante. L'uomo deve a tutti i costi distruggerne il corpo per scongiurare che il maligno possa continuare ad abitare in lei.
Dopo tre mesi da questo terrificante rito, assistiamo al primo giorno di lavoro della bella Megan Reed, ex poliziotta finita schiava dei farmaci a seguito di uno shock da lavoro in cui perse la vita un suo collega.
La donna, sulla via della disintossicazione, trova lavoro presso l'obitorio della grande città, e pare non troppo turbata dall'atmosfera sinistra che la accompagnerà nei suoi turni notturni, impegnata ad accogliere di volta in volta i corpi delle vittime che la vita cittadina restituisce con statistiche sin allarmanti.
Ma la giovane pare districarsi piuttosto bene. Almeno fino al momento in cui un'ambulanza le consegna il corpo martoriato e semi bruciato di una giovane, che solo noi del pubblico possiamo sapere trattarsi di quella Hannah Grace sacrificata dal concitato e violento incipit ben tre mesi prima.
Da quel momento, eventi inspiegabili e tremendi costelleranno di terrore le ore lavorative della ragazza, che riuscirà a comprendere perché un barbone si ostina a cercare di fare irruzione in quei locali, e la vera natura di quel corpo posseduto che pare anche rigenerarsi e ricostituirsi nella sua integrità, secondo un processo esattamente inverso a quello della naturale decomposizione fisica post mortem.
Per la regia corretta ed accurata dell'olandese Diederik Van Rooijen, che nello stile asettico e torvo ci ricorda l'altro regista nordico, ma danese, Ole Bornedal de Il guardiano di notte, e per certi tratti persino un po' il maestro Carpenter, L'esorcismo di Hannah Grace nasce come l'ennesimo horror dai tratti risaputi e visti mille volte, per concentrarsi poi, per fortuna e salvezza del prodotto finale, su una vicenda di sopravvivenza tra un labirinto di corridoi e stanze mortuarie e mortifere che - grazie anche ad una accurata scenografie e ad una potente fotografia corrotta dai toni cupo-giallastri tipici delle fredde ed implacabili luci al neon di quel luogo da incubo - si dimostra piuttosto efficace e concitata, in grado di tener desta l'attenzione e la suspence.
Alla sostanziale riuscita dell'opera, contribuisce pure non poco, la valida prova della bella, tenace protagonista, interpretata con sentita partecipazione dalla bella attrice mora Shay Mitchell, mentre la tormentata, luciferina figura di Hannah Grace, è resa, se non credibile, almeno opportuna con i suoi acrobatici e sconvolgenti contorsionismi, dalla esile modella e ballerina Kirby Johnson, occhio bicolore in cui la tonalità cerulea, per una volta, è sintomatica di possessione, e non di benessere paradisiaco.
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