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Al final de la escapada

Regia di Albert Solé vedi scheda film

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La recensione su Al final de la escapada

di OGM
7 stelle

Miguel ha vissuto intensamente. Ha sofferto fino in fondo, coraggiosamente, per ciò in cui crede: la libertà, il fondamento stesso della dignità umana. La dignità che va conservata, ad ogni costo, anche nel momento in cui la morte è prossima e inevitabile.

Miguel Núñez ha ottantotto anni. È malato, e sa che non guarirà. Il suo sguardo si rivolge solo all’indietro, alla sua lunga vita di combattente. La sua opposizione al franchismo gli è costata diciassettenne anni di prigionia, ha conosciuto la tortura e l’esilio. I suoi ricordi sono diventati un romanzo, un fumetto, un film. Questo documentario affianca ai filmati di repertorio delle cronache televisive e alle foto tolte dall’album, la presenza del suo volto, il suono della sua voce. A volte, a parlare sono i suoi amici, sua moglie, i suoi ex compagni di lotta. Ma ci sono anche testimonianze, non meno vere e presenti, di persone che non l’hanno mai conosciuto. Come quella giovane donna nicaraguegna, incinta del suo sesto figlio, che riceve assistenza nell’ospedale da lui fondato, dall’altra parte dell’oceano. Miguel crede che la vita vada vissuta fino in fondo, ma che sia inutile continuare a respirare quando non si può più fare nulla, non è più possibile lasciare il segno. Quando tutto si riduce ad un tormento senza speranza, che può indurre solo alla degradazione e alla follia. Così la pensa lui, che al dolore fisico ha saputo resistere, tra le mani dei suoi aguzzini, senza mai cedere, senza mai dire una parola, senza mai fare un nome. Il centro del discorso è l’uomo, individuo libero per natura: ma, in questo caso, ad  invocare una morte dignitosa non è un pensiero materialistico, che respinge  la sofferenza in quanto tale. A non essere accettabile è l’idea di non essere più in condizione di dominare il tempo, di esserne padroni, come riescono ad essere perfino i condannati alla pena capitale, mentre si avvicinano al luogo dell’esecuzione.  Disumano è non vedere più niente, nemmeno il senso della fine. Di questo, finché si è lucidi, ci si può riempire, fino a farne una ricchezza. Il cerchio che si chiude allude alla perfezione, al racconto che, andando incontro all’ultimo capitolo, prende forma, definisce il suo significato, realizza il suo scopo. È allora che la sequenza delle frasi diventa un tutto, un insieme non più frammentato dal passare degli anni, sfumato dalle incertezze, travisato dai desideri, bensì un complesso coerente e ordinato di cose successe, comprese, classificate. Sarebbe brutto dire archiviate, ossia accantonate e nascoste dietro una sbrigativa etichetta. Il libro deve restare sullo scaffale, pronto ad essere sfogliato. Lo raccomanda Marcos Ana, il poeta, il rivoluzionario, l’uomo che ha trascorso in carcere tutta la sua giovinezza. La conquista della democrazia non autorizza a dimenticare.  Prima di voltar pagina, bisogna averla letta.   

 

 

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