Regia di Cèline Sciamma vedi scheda film
Immaginavo la bellezza del film, ma le attese sono state ampiamente superate: è semplicemente uno dei migliori film della stagione. Un film meraviglioso tutto al femminile che, ripeto, solo una donna, una valente donna, avrebbe potuto immaginare, scrivere e filmare.
Il mito narra che Euridice, ninfa amata dal musico, cantore e poeta Orfeo, un giorno calpestò un serpente nascosto tra l’erba che la morse, provocandone la morte prematura. Colto dello sconforto, Orfeo decise di scendere negli Inferi ed utilizzare la magia del suo canto per riuscire in un’impresa preclusa ai mortali: riportare un’ombra alla vita, emozionando Ade e Proserpina. Questi concessero ad Orfeo di condurre Euridice al di fuori degli Inferi, a patto che lui non si fosse mai voltato a guardarla durante il tragitto. Ma Orfeo si voltò ed Euridice morì una seconda volta.
Leggendo la storia di questo amore estremo le due donne iniziano a guardarsi con occhi diversi e dal quel momento non sarà più come prima.
Se per ipotesi uno spettatore si accingesse a vedere il film senza sapere nulla di chi firma la sceneggiatura e la regia capirebbe comunque, con un minimo di partecipazione al racconto e allo spirito che lo percorre, che solo una donna può essere capace di realizzarlo. È tale la delicatezza e nello stesso tempo la forza che questo film sa esprimere che un qualsiasi uomo, pur dotato delle giuste intenzioni, sbaglierebbe ogni cosa e fallirebbe negli intenti perché solo una donna, per giunta molto dotata come Céline Sciamma, è capace di esporre e fotografare con tanta raffinatezza l’incontro e l’avvicinamento delle due protagoniste, Marianne e Héloïse. La prima è, come risulta lampante sin dalla agitata sequenza iniziale, è una donna volitiva e di forte carattere, abituata a cavarsela sempre da sola: non esita un attimo a tuffarsi dalla barca – piena di uomini – nel mare grosso che la circonda per salvare la cassa di legno che contiene le tele che sta trasportando nell’isola dove è diretta. Si immerge nelle acque agitate con il pesante fardello dei vestiti tipici delle donne di quel 1760 e non ha timore di farsi quindi sbarcare grondante acqua e con due ponderosi pesi, il prezioso contenitore e il suo bagaglio. Héloïse è più timorosa, debole, insicura, imbronciata e chiusa in se stessa, ferma solo nel suo proposito di non offrirsi come soggetto del ritratto che la contessa madre ha commissionato a Marianne per spedirlo all’uomo a cui è stata promessa. L’una è bruna, con i capelli raccolti sempre in ordine, dagli occhi indagatori e dalla bellezza nascosta che sa svelarsi piano, l’altra è bionda e chiara di pelle, dai capelli sfuggenti, attraente di forte bellezza asimmetrica.
Il film è un unico flashback che viene svelato allorquando Marianne, insegnante in una scuola femminile di pittura, si ritrova a guardare un vecchio ritratto che avrebbe fatto a meno di rivedere, in cui è raffigurata una bella ragazza in piedi davanti ad un fuoco acceso che le sta incendiando il vestito. È la storia che si dipana da quello sbarco e che la porta nella villa dove incontrerà una ragazza uscita dal convento per andare in sposa al posto della sorella morta tragicamente. È già tutto chiaro: un mondo patriarcale e maschilista dove le donne non decidono nulla e Héloïse è solo il rimpiazzo di una promessa che altrimenti non si sarebbe potuta mantenere. In quella casa saranno solo donne, in quanto oltre le due ragazze, la pittrice Marianne e la bella Héloïse, vi abita la contessa – che si assenta spesso – e la cameriera. Quattro donne sole in un mondo senza neanche l’ombra di un uomo. Che però esiste ed è colui che a Milano aspetta la moglie promessa. Héloïse non avrebbe mai lasciato il convento in cui viveva, in cui la musica e la lettura le allietavano la vita, al contrario di ciò che pensa che la attenda in Italia. Da qui il rifiuto di farsi ritrarre e di incontrare persone. Parimenti è anche il rifiuto della maternità indesiderata della cameriera che sceglie di abortire: sono donne che fanno a meno e che vogliono fare a meno degli uomini, che soffrono la condizione soffocata in cui si sentono obbligate a vivere. Nel frattempo Marianne e Héloïse imparano a guardarsi, anzi dopo le iniziali difficoltà dei primi incontri si scoprono guardarsi negli occhi o meglio si osservano guardarsi reciprocamente. Un film di occhiate e silenzi, di pause e promesse tacite, di avvicinamenti e concessioni. Spesso senza parole, in molti attimi totalmente superflui. La regista prende il suo tempo, non ha fretta, concede il giusto ritmo per far maturare quello che sembra spontaneo e autentico. Quasi senza rendersene conto diventano complici e mentre la ragazza accetta a mettersi ubbidientemente in posa, la pittrice la studia ancora meglio in ogni particolare, scrutando ogni minima nuance di colore della pelle, fino ad elogiarne la luminosità. Marianne fa piccoli passi avanti, Héloïse cede, scoprendo per la prima volta il sentimento. La straordinaria bravura della Sciamma è quella di scegliere un percorso narrativo ed emotivo non nell’eros ma nell’affetto, forte e progressivo, e l’unione delle due donne ne è solo la naturale conseguenza, sincera e appagante, riempitiva e scaldante. Sono il cuore e l’anima a goderne.
Nella totale assenza di commento musicale – che ovviamente acuisce i momenti di silenzio - assurgono a figura di coprotagonisti due brani vibranti: il canto del “Fugere non possum” (parole molto esplicative!) delle donne del luogo nei momenti dell’aborto della cameriera, un canto incalzante e ritmato molto coinvolgente, ed il sublime Terzo Movimento dell’Estate di Vivaldi, che viene prima vissuto assieme e che poi assurge a commovente finale, tra le lacrime irrefrenabili di Héloïse ormai sposa e madre. Le due donne, già separate da anni, non si sono mai dimenticate, non hanno mai messo fine ai loro ricordi, non riescono mai fare a meno di riandare con la mente a quei giorni pieni e pienamente vissuti. Ciò che rimane è l’amore e un dipinto, che non è quello per lo sposo ma quello in cui Marianne ha ritratto Héloïse che, mentre il suo vestito prende fuoco, continua a mirarla come per dire: “Vedi? Se vuoi, posso anche morire bruciata per te!” È la ragazza in fiamme. Ed è anche la ragazza che un giorno, camminando lungo la spiaggia, voleva entrare nel mare pur non essendo sicura di sapersela cavare, ennesima sfida per amore e per non trasferirsi a Milano presso un uomo sconosciuto. “Non so se so nuotare” “Ma sai galleggiare”.
Senza commettere alcun reato di lesa maestà, forse solo la Jane Campion dei momenti migliori poteva filmare altrettanto bene la storia di queste due donne.
È un’opera interamente pervasa dai sentimenti senza essere sentimentale, dalla sensibilità senza essere mai eccessivamente melodrammatico, un’opera delicata e contemporaneamente dirompente come solo il vero amore può essere. Come una sinfonia russa, che inizia piano e che poi diventa travolgente e appassionante, o come può essere la citata ‘Estate’ di Vivaldi che descrive la potenza della tempesta estiva, il rapporto descritto dalla magistrale Céline Sciamma inizia con un “piano” per diventare un ”presto”, un vortice inarrestabile che per finire seduce l’animo e il cuore delle protagoniste e di chi assiste in sala. La scrittura dei dialoghi è affascinante e la recitazione delle due oltremodo brave protagoniste, Noémie Merlant e Adèle Haenel, conquista l’ascoltatore, concertate alla perfezione dalla regia della Sciamma come meglio non si poteva, con grandissima sensibilità. Una mano gliela dà sicuramente Claire Mathon, responsabile della straordinaria fotografia (mi risulta con la tecnica in 8K) che riesce a dare maggior risalto alle inquadrature delle attrici e della bellissima natura selvaggia dei luoghi (il film è stato girato a Saint-Pierre Quiberon, nella Bretagna francese), aiutandoci a partecipare alle visioni lampanti della sposa vestita di bianco, dando estrema nitidezza nelle scene cupi e maggior vigore alle bianche e schiumose onde dell’Atlantico.
Immaginavo la bellezza del film, ma le attese sono state ampiamente superate: è semplicemente uno dei migliori film della stagione. Un film meraviglioso tutto al femminile che, ripeto, solo una donna, una valente donna, avrebbe potuto immaginare, scrivere e filmare.
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