Regia di Cèline Sciamma vedi scheda film
Portait de la jeune fille en feu di Cèline Sciamma, in concorso a Cannes 72, è certamente definibile come film problematico. A prima impressione si tratta di un film estremamente efficace nell'acchiappare il consenso del pubblico, poiché cerca di simulare una certa autorialità accumulando silenzi, fissità di camera e dialoghi rallentati, al confine con il letterario - e a volte ci arrendiamo, e ci facciamo incantare, perché questa simulazione può anche risultare appassionante, soprattutto nella prima metà di film - nascondendo in realtà dietro di sé un soggetto e delle intenzioni abbastanza esili - ma indiscutibili, al confine con il femminismo andante. Insomma, il film asseconda l'idea di chi ha visto poco cinema d'Autore che il cinema d'Autore sia questo, e che soprattutto si tratti di un esempio di rigore estetico che non si lascia andare ai sentimentalismi. A una visione più attenta però i limiti del film risultano abbastanza palesi: l'ostinata fermezza della camera, chiusa sui primi piani e sugli sporadici paesaggi, non riesce a tradursi nella passione infuocata che riguarda le due protagoniste, legate sia intellettualmente che, poi, sentimentalmente. Non riesce a far vivere questa stessa passione agli spettatori. Sono lontani insomma i tempi della Marquise von O rohmeriana, che infuocava le sue inquadrature teatrali con un erotismo che era tutto cenni, dialoghi e tonalità (la qual cosa sarebbe esattamente intenzione della Sciamma). Qualcosa di male la fa anche la grossa differenza fra le due protagoniste: il piccolo sguardo da cerbiatto di Noémie Merlant e la mascella aguzza di Adèle Haenel sembrano incompatibili dall'inizio alla fine, forse soprattutto perché si vorrebbe far credere che la Haenel sia adatta a qualsiasi ruolo, quando invece non la ritroviamo credibile nei panni della dama del Settecento. Per non parlare della Golino, che sembra sbucata fuori dal nulla.
Ma allora cos'è che funziona in questo ritratto? Invero, svariate cose, immediatamente definibili come contraddizioni, proprio alla luce di quanto già detto. Il film, in due o tre momenti, riesce a liberarsi un po' dai vincoli del cinema letterario a cui vorrebbe ambire con poco successo, e si tratta di momenti musicali. Tra l'Estate di Vivaldi, che fa un po' da galeotta in una delle prime scene, al canto corale denominato proprio Portrait de la jeune fille en feu (così si legge nei titoli di coda), la Sciamma stupisce improvvisamente creando delle piccoli visioni surreali che dànno tutt'altro tono alla pellicola, un tono commosso e appassionante come nelle altre sequenze non sembrava possibile. Il momento del falò, insieme al finale, costituiscono i momenti più alti, e possono a ragion veduta impossessarsi della memoria dello spettatore dando, come in una sintesi, l'idea che l'intero film sia bello e appassionante, quando invece proprio questo aspetto procede a singhiozzi, a efficacia alterna.
E non si riesce neanche a privarsi del tutto dell'idea che questo erotismo detonato possa essere in qualche modo ricercato, volontario, come le nudità esibite di un dipinto del Settecento, che non possono avere poi tanto effetto nel turbare uno spettatore del XXI secolo. Se l'attrazione nel film non si sente, è perché è dietro, dietro quegli occhi, dietro quegli sguardi insondabili, dietro quei campi-controcampi che fanno dialogare tra loro veri e propri ritratti - la struttura delle inquadrature rimarca quella della ritrattistica del Settecento e dell'Ottocento - dando un nuovo senso a un dialogo qualunque o a una situazione.
Sia come sia, si parlerà a lungo di questo titolo, e data la sua problematicità può anche starci bene.
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