Regia di Tom Nagel vedi scheda film
L’inflazione delle case infestate è ormai conclamato. Porte che cigolano, scalini che scricchiolano, mansarde abitate, scantinati inquietanti, etc. L’idea originale di Tom Nagel è di raccontare di un camper posseduto. Idea bislacca che però risulta vincente e interessante in più aspetti. Innanzitutto la novità. L’incipit è da applausi, in questo senso: un ragazzi che di sera gira con la sua BMX e ad un certo punto passa davanti ad un grosso camper famigliare parcheggiato in un quartiere residenziale. La porta del camper si apre da sola, improvvisamente. Intorno tutto tace, tutto è calmo. Il ragazzino, piano piano e un po’ timoroso s’avvicina ed entra. Non uscirà più.
La mattina seguente, una mica tanto allegra famigliola formata da nonno, papà, mamma, figlia e zio attaccabrighe, parte per un viaggio verso un posto caro al nonno ormai vedovo. Non sanno però che il camper noleggiato è stato di proprietà di un folle serial killer che ha consumato le sue perversioni e i suoi delitti tra le quattro mura del caravan. Strada facendo, raccolgono due ragazzi in panne, tra cui la Misha Barton di The O. C. e ripartono verso il deserto. Non tarderanno ad accorgersi che non è la sfortuna a perseguitarli, ma la presenza del serial killer.
Il film di Tom Nagel, il di cui fratello Ryan interpreta il giovane zio, vince per due motivi principali: per prima cosa il body count è imprevedibile, come l’intera narrazione, e non sappiamo che sviluppo possa prendere, in più, il serrato montaggio alternato aumenta la tensione e l’incertezza dell’azione; in secondo luogo, la coreografia delle morti è efferata, la location azzeccata, il folle killer simil-poltergeist è riuscito nel suo tratteggio stereotipato. Latita la recitazione e la verosimiglianza di certe emozioni, ma il film intrattiene e soddisfa più di tanti altri prodotti di serie. Va detto che il regista sa giocar con le immagini e le inquadrature, allontanando il film dallo spettro del prodotto semi-amatoriale.
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